lunedì 30 maggio 2011

L’Italia è senza soldi e tutti si chiedono perché…


Penso sia sempre sbagliato generalizzare cercando di spiegare qualcosa. Però vorrei parzialmente farlo traendo spunto dal bellissimo servizio fatto da Report ieri sera (che potete vedere in basso).
Il tema in questione è il G8 alla Maddalena, anzi ciò che è rimasto di quello che sarebbe dovuto essere, visto che è stato poi tutto spostato a L’Aquila. L’argomento su cui vorrei riflettere però non è il G8 bensì il modo in cui vengono trattati, gestiti e assegnati i lavori pubblici in Italia.
L’inchiesta fatta da Report, al quale va tutta la mia stima essendo uno dei pochi programmi che cerca veramente di fare informazione, ha portato alla luce dei fatti che altrimenti sarebbero passati sottobanco come accade sempre più spesso nelle Tv. Perché è vero che giornali e telegiornali hanno parlato delle accuse mosse verso i responsabili dei lavori, da Bertolaso ad Anemone e tutti gli altri, ma nessuno ha voluto approfondire quella che è stata una grandissima truffa pagata ovviamente con soldi statali.
I tre video durano all’incirca una trentina di minuti in totale ma vi prego di seguirli perché io non sarei in grado di riportare il tutto in modo così chiaro ed esauriente.


La cosa che più mi lascia perplesso è proprio vedere come in Italia si sperperino milioni di euro con vere e proprio truffe senza che nessuno si scandalizzi più di tanto. Cercano soldi dappertutto tagliando sull’istruzione, sulla ricerca, sulla sanità e poi ci tocca vedere cose come questa. La bonifica dei fondali è l’esempio lampante di come funzionino le cose: da un costo di massimo 150 euro al metro cubo si è arrivati a oltre 700 euro dragandone solo 50 cm, quasi cinque volte il prezzo massimo per fare un quarto del lavoro pattuito. Tutti devono mangiarci qualcosa, tanto sono soldi pubblici, peccato che poi a pagare siano sempre i cittadini che di queste cose non ne possono nulla ma che di riflesso ne subiscono le conseguenze.
Un'altra piccola chicca riguarda lo smaltimento di quei rifiuti, spariti nel nulla, in fondo erano solo scorie derivanti da un arsenale nucleare, che saranno mai? Un buco nel terreno e passa la paura…
Pensate ora se in Italia ci fossero le centrali nucleari che ci sono in Francia o in Germania, voi vi fidereste a lasciare lo smaltimento delle scorie in mano allo stato? Io personalmente nemmeno un po’!
Tornando all’inchiesta vorrei ancora dire una cosa: l’isola della Maddalena è un posto veramente incantevole e questa poteva essere l’occasione di renderla un vero gioiellino dal punto di vista turistico, ma ancora una volta si è preferito mangiarci su, lasciando i lavori a metà dell’opera, costruendo cose che non hanno nessuna utilità né per il presente né per il futuro, ma soprattutto ancora una volta non sfruttando quello che è una delle principali risorse di questo paese, il turismo.
L'aspetto peggiore è che quello della Maddalena non è un triste caso isolato ma rappresenta un esempio lampante di come vengono gestiti i grandi appalti pubblici italiani. Soldi buttati, monumenti inutili e inutilizzati, opere mai ultimate e costi gonfiati all’inverosimile.
Però l’Italia è senza soldi e tutti si chiedono perché…

Mywo

domenica 29 maggio 2011

Finale di Champions: una vittoria “totale”


Gli spunti di riflessione che questa partita ha fornito sono molti però vorrei partire dal concetto di fondo, quello appunto della vittoria totale. Il Barcellona è sempre stata una squadra spettacolare e che spesso ha puntato sul bel gioco, creando e soprattutto lanciando tantissimi campioni (Kruijf, Maradona, Ronaldo, Figo ecc) però prima del 2006 aveva vinto solo una Champions, quella del 1992, con in panchina il grande Joan Kruijf che dopo aver vinto molto da giocatore con i blaugrana si ripeté anche come allenatore, portando per la prima volta la coppa dalle grandi orecchie in catalogna. L’olandese guidava quello che venne soprannominato il “Dream Team” proprio perché come questo Barça proponeva un gioco armonioso, imbattibile e “totale”. Quella era la filosofia portata da Kruijf, che proseguì poi con Van Gaal e Riikaard fino ad arrivare a Guardiola. Pep era appunto il giovane regista di quella squadra, voluto da Kruijf nonostante i 21 anni proprio per la sua leadership che a dispetto dell’età riusciva a mantenere, in campo e fuori. Guardiola era il giocatore perfetto per praticare quel tipo di calcio e lui ha saputo immagazzinare quella cultura calcistica riportandola poi sul campo, da allenatore, quando gliene è stata data la possibilità.
Tornando però alla vittoria di ieri c’è da dire che è apparso chiaro come la squadra terrestre più forte degli ultimi anni, il Manchester United, capace di arrivare in finale 3 volte negli ultimi 4 anni, non possa nulla di fronte a quella squadra che ormai di umano ha più ben poco. Il barça ha raggiunto un’identità, un gioco, una coesione che difficilmente si vedono altrove. Ovviamente il tutto è favorito da una generazione di fenomeni che non a caso ha portato anche la Spagna a vincere Europeo e Mondiale nel giro di 4 anni. Qui però c’è anche il marziano per eccellenza, Lionel Messi, che pur non essendo spagnolo, proviene dalla cantera, curato quando, per problemi legati ad una patologia di nanismo, in pochi avrebbero scommesso su di lui, fatto crescere assieme ai suoi compagni, plasmato nella filosofia di gioco che ha il Barcellona, ne è venuto fuori mostrandosi grande. A 24 anni ha già vinto tutto tranne il mondiale, deliziando milioni di persone con le sue giocate leggere, naturali, segnando tantissimo (53 gol stagionali) e mostrando una concretezza impressionante.
La vittoria totale però abbraccia anche altri aspetti che non sono "di campo" ma che con il campo sono direttamente collegati. Pep Guardiola non è solo un grande tecnico, uno che ha preso il Barça e ne ha valorizzato tutto il possibile; Pep è un uomo con una grandissima umanità e umiltà. Nel 2009 al termine della finale di Roma vinta al suo primo anno da allenatore, dopo essersi aggiudicato anche Liga e coppa del Rey, durante un ‘intervista nel post partita dedicò il suo primo pensiero a Carlo Mazzone, suo ex allenatore ai tempi del Brescia, che non aveva potuto assistere alla finale a causa di un malore. Guardiola nel 2008 prese una squadra al collasso, disunita nonostante fosse piena di giocatori giovani che tanto avevano ancora da dare; fu bravissimo a riportare la giusta serenità all’interno dello spogliatoio, eliminando le mele marce che non avevano più gli stimoli e l’interesse a far bene per la sua squadra (Eto’o, Ronaldinho, Deco ecc) ed essendo stato per 2 anni l’allenatore del Barcellona B, la squadra giovanile, riportò anche la tradizione del passaggio dalla seconda alla prima squadra dei giovani cresciuti nella cantera, intrisi di storia e gioco catalano. Pedro, Busquets, Piquè, Jeffren Bojan sono tra i tanti a cui Guardiola ha dato fiducia nello scetticismo generale (come puoi far giocare Pedro con Ibra in panchina? Busquets non vale metà Mascherano, come può essere il titolare?) eppure loro si sono dimostrati campioni all’altezza, perfettamente a loro agio in un gioco che praticano da quando hanno iniziato a tirare i primi calci ad un pallone.
Pep però in questa finale è andato un po’ oltre inserendo nella formazione titolare Erik Abidal, il terzino sinistro che meno di 70 giorni fa è stato sottoposto ad intervento chirurgico a causa di un tumore al fegato. Farlo giocare al posto di Puyol, il capitano, e successivamente fargli alzare da capitano la coppa per primo è stato un gesto che va oltre il calcio ma che col calcio rimane collegato, perché tutti i suoi compagni erano doppiamente felici di poter rigiocare con lui e questo è un fattore che va ad influire sul morale dei giocatori.
Parlando di morale e di carattere rimane disarmante vedere la reazione, o meglio “non reazione” avuta dai giocatori del barça dopo aver subito il pareggio di Rooney. Hanno continuato a giocare e ad attaccare come se nulla fosse, consapevoli che prima o poi un altro gol l’avrebbero segnato.
Quindi è giusto celebrare una squadra che rimarrà nella storia del calcio perché è vero che quest’anno non sono riusciti a centrare il triplete, ma è con i cicli vincenti che si viene ricordati nel tempo. 2 Champions League in 3 anni da allenatore per Guardiola valgono tantissimo e questa squadra ha giocatori giovani che hanno ancora tanto da dare: è il loro momento, per ora agli altri non rimane molto altro da fare se non applaudirli e gustarsi questo spettacolo...


Mywo

venerdì 27 maggio 2011

Teleratti 2011: il peggio della tv italiana

Tutti quanti conoscono i famosi premi per la televisione, i Telegatti, assegnati ogni anno dalla rivista Sorrisi e canzoni TV, ma pochi sanno che esistono anche le controparti in negativo. Se ci sono i gatti ci saranno anche i ratti e quindi dal 2007 con cadenza annuale a fine stagione televisiva, vengono assegnati i Teleratti, organizzati dal blog del critico televisivo Davide Maggio. I Teleratti premiano il peggio della televisione italiana unendo le preferenze del pubblico, raccolte via internet, e le opinioni degli esperti del settore come giornalisti e critici di autorevoli testate (tra le altre Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, etc.) che hanno composto le nominations.
Trionfo assoluto per Barbara D'Urso con ben 6 statuette portate a casa, prevalentemente per il programma flop Stasera che sera! chiuso dopo solo due puntate. Pessimi risultati anche per la coppia Baudo-Vespa e per Uman - Take control. Tirando le somme, Mediaset batte RAI ma credo che nella tv di stato possano esserne felici.
Ecco tutte le nominations e i vincitori (in rosso).

I 5 minuti da dimenticare (ovvero il peggior “momento televisivo”)
1. Federica Sciarelli comunica a Concetta Serrano il ritrovamento del cadavere della figlia in diretta tv (Chi l’ha visto, 6 ottobre 2011)
2. Aldo Busi che in diretta tv dichiara “Caxxo in cxxo non fa figli ma brodo per conigli” (Stasera che sera, 9 gennaio 2011)
3. Intervista di Barbara D’Urso a Francesco Nuti (Stasera che sera, 16 gennaio 2011)

Flop dell’anno
1. Centocinquanta (Rai 1)
2. Stasera che sera (Canale 5)
3. Uman - Take control (Italia 1)

Gli scoppiati dell’anno (ovvero la peggior coppia tv)
1. Bruno Vespa – Pippo Baudo (Centocinquanta, Rai 1)
2. Francesco Facchinetti – Belen Rodriguez (Ciak si canta, Rai 1)
3. Pupo – Emanuele Filiberto (I raccomandati, Rai 1)

Le ultime parole famose (ovvero la dichiarazione più imbarazzante rilasciata nel corso di un programma o alla carta stampata/sito web da un personaggio tv)
1. Paolo Bonolis in un’intervista a Libero del 27 novembre 2010: “Diciamo che questo programma ha alcuni… stilemi del mio Senso della vita. Ma non è l’unico che gli somiglia”.
2. Gerry Scotti nel corso della conferenza stampa di Paperissima del 14 dicembre 2010 sulla sua sovraesposizione: “Per la prima volta anche uno stakanovista come me ha dovuto mettere dei paletti legali. E quest’anno resterà un caso unico”.
3. Barbara D’Urso nel corso della puntata di Pomeriggio Cinque del 9 maggio 2011: “Noi non abbiamo bisogno di mettere faccioni sul vidiwall e parlar male di persone. Noi vogliamo bene a tutti”.

Lo scostumato dell’anno (ovvero il personaggio peggio vestito)
1. Caterina Balivo
2. Antonella Clerici
3. Paola Ferrari
4. Alessia Marcuzzi

Peggior autorato
1. Centocinquanta (Rai 1)
2. Stasera che sera (Canale 5)
3. Uman - Take control (Italia 1)

Peggior fenomeno (da baraccone) di un reality/talent show
1. Eleonora Brigliadori (Isola dei Famosi 8)
2. Nando Colelli (Grande Fratello 11)
3. Guendalina Tavassi (Grande Fratello 11)

Peggior fiction
1. Il peccato e la vergogna (Canale 5)
2. Le due facce dell’amore (Canale 5)
3. Non smettere di sognare (Canale 5)

Peggior opinionista
1. Mario Adinolfi
2. Roger Garth
3. La Pina
4. Alessandro Meluzzi
5. Anna Pettinelli
6. Marina Ripa di Meana
7. Vittorio Sgarbi
8. Angela Sozio

Peggior personaggio
1. Barbara d’Urso
2. Fabrizio Corona
3. Emilio Fede

Peggior programma di informazione e cultura (infotainment e tg inclusi)
1. Articolo 3 (Rai 3)
2. TG1 (Rai 1)
3. Domenica Cinque (Canale 5)

Peggior programma di intrattenimento
1. Ciak si canta (Rai 1)
2. Stasera che sera (Canale 5)
3. Uman - Take control (Italia 1)

Peggior scenografia
1. G’ day (La7)
2. I raccomandati (Rai 1)
3. Uman - Take control (Italia 1)

Teleratto della critica
Pippo Baudo e Bruno Vespa (Centocinquanta, Rai 1)

Teleratto speciale - Telecapra
Vittorio Sgarbi (Ci tocca anche Vittorio Sgarbi, Rai 1)

D9P

giovedì 26 maggio 2011

Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare

Quarto capitolo della celebre saga piratesca prodotta dalla Disney, Pirates of the Caribbean: On stranger tides (letteralmente, “su onde più strane”) è uscito nelle sale cinematografiche statunitensi e italiane il 18 maggio. Le differenze con i precedenti episodi sono marcate: il regista Gore Verbinski, “papà” della saga, è stato sostituito da Rob Marshall (Chicago, Memorie di una geisha, Nine), la bella Keira Knightley ha ceduto il passo alla sexy Penelope Cruz, le ambientazioni principali delle riprese sono state le isole Hawaii anziché quelle caraibiche, e per la prima volta il film è disponibile anche in 3D. La storia, liberamente ispirata al romanzo On stranger tides (Mari stregati) di Tim Powers, inizia con l’impavido, irriverente e buffissimo capitano Jack Sparrow (alias l’inossidabile Johnny Depp) intento a liberare il suo storico primo ufficiale Gibbs (Kevin McNally) da una sicura impiccagione presso il tribunale di Londra. Dopo un’apparizione-cameo di suo padre, il capitano Teague (Keith Richards), Jack incontra Angelica (Penelope Cruz), una piratessa che si spaccia per lui nel tentativo di radunare una ciurma e partire verso la leggendaria fonte della giovinezza, meta ambita da molti potenti. Jack e Angelica, che in passato hanno avuto una relazione burrascosa, si ritrovano a bordo della stessa nave, comandata dal malvagio Barbanera (Ian McShane), in gara contro il corsaro Hector Barbossa (Geoffrey Rush), vecchia nemesi di Jack ora corsaro reale con una gamba di legno, e una spedizione militare del re di Spagna. Si narra che la fonte della giovinezza richieda un rituale esoterico per operare il suo miracolo: ci vogliono due calici d’argento dell’antico conquistador Ponce de Léon, una lacrima di sirena (tutt’altro che facile da ottenere) e una vittima sacrificale...
Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare è un film riuscito solo a metà. Se da un lato è perfettamente in grado di avvincere e divertire per tutti i suoi 141 minuti di durata, dall’altro trama e personaggi non convincono appieno, in particolare Angelica e Barbanera. Penelope Cruz, che personalmente trovo di una bellezza intensa e ammaliante, dà il giusto tocco di malizia femminile alle vicende e alle volte si rivela una degna controparte dell’istrionico Johnny Depp, ma il suo personaggio in bilico tra due amori molto differenti finisce per diventare poco sensato e persino antipatico. Geoffrey Rush, in deciso contrasto con il suo precedente ruolo di arguto logoterapista in Il discorso del re, impersona il pirata più folkloristico di tutti, ma per molti Barbossa non si distinguerà a sufficienza dal piattamente perfido Barbanera. La trama ha alti e bassi, con momenti epici e altri davvero troppo inverosimili, e anche le trovate comiche e sentimentali sono altalenanti: emblematica la side-story del reverendo Philip Swift (Sam Claflin) e della sirena Serena (Astrid Bergès-Frisbey), che per un po’ porta della gradevole delicatezza nelle crude vicende di Jack e soci per poi venire del tutto sprecata nel finale frettoloso. Due ulteriori osservazioni: il motivetto musicale della saga e le sue variazioni sul tema sono riciclate ad libitum, e stufano in fretta; la visione con gli occhiali 3D non aggiunge granché all’esperienza visiva, giusto qualche lama minacciosa e i ruggiti dell’indimenticata scimmietta della nave Black Pearl. Il produttore Jerry Bruckheimer può comunque cantare vittoria, visti i copiosi incassi delle prime settimane di proiezione (90 milioni di dollari negli Stati Uniti e oltre 5 milioni di euro in Italia), ma sicuramente si poteva fare di meglio.


Lor

Sucker Punch

Mi sono imbattuto in questo film per caso, come spesso capita scorrendo Mymovies e dopo aver letto velocemente la trama, con relativa recensione, ho deciso che era abbastanza interessante. Alla fine del film però mi sono accorto che in realtà, come spesso mi RIcapita, della trama avevo capito poco e che la visione di esso è risultata sorprendentemente diversa da come me l’aspettavo. 

Il film è strano, gli elementi in gioco molti, inizialmente sembra una storia di vita reale, triste e drammatica. Poco dopo tutto si trasforma in un parallelo, che diventa successivamente un piano a tre livelli differenti, tutti collegati, nei quali lo spettatore fatica a non perdersi, ma rimanendo ancorati alla storia iniziale pian piano tutto va al suo posto, nonostante apparentemente le cose centrino poco le une con le altre. Al primo piano drammaticamente reale, nel quale la protagonista si trova suo malgrado coinvolta, se ne affianca uno verosimile: si entra all’interno dell’inconscio della ragazza, Baby Doll, la quale cerca in questo mondo il rifugio per sfuggire alla vita dell’istituto nella quale è stata portata, a causa di un accidentale omicidio, del quale viene ingiustamente accusata dal patrigno. Questo era il primo piano; il secondo appunto è quello creato dalla protagonista che si autotrasporta, portandosi dietro tutti quanti, in un bordello nel quale lei e le altre pazienti sono in realtà compiacenti ballerine, che devono esibirsi in balli succinti per soddisfare i clienti. Qui entra in gioco il terzo livello ed è ancora una volta Baby Doll ad introdurlo, partendo dal secondo ed inserendo nel film l’elemento che scombina tutto quanto. Alla protagonista viene chiesto di ballare e lei nella sua danza crea un ulteriore livello di sub-conscio, in questo caso del tutto inverosimile, nel quale lei si trova in un tempio cinese ed un vecchio saggio le spiega cosa dovrà fare per liberare la sua anima. 

Bene penso che siate abbastanza confusi. 

I tre livelli continuano a mescolarsi per tutto il film alternando scene di vita reale a scene di lotta puramente fantastica, ispirata a diversi videogiochi come Tekken, Final Fantasy, Wolfenstein ed il Signore degli Anelli. Partendo ora dal terzo livello, quello puramente inventato, costituito da combattimenti con ambientazioni ogni volta diversa, si può dire che ogni battaglia ha come scopo quello di venire in possesso di uno dei 5 oggetti che serviranno per trovare la libertà. A ciò è collegato il secondo livello dove in realtà non ci sono scontri a fuoco, bensì un patto tra le ragazze del bordello le quali, durante i balli di Baby Doll, dovranno trovare materialmente gli oggetti per fuggire, sfruttando appunto l’ipnosi generata dall’esibizione della protagonista. Ma questo, come forse avrete capito, non è il livello del reale perché ci troviamo ancora nell’inconscio della ragazza. L’ultimo livello, con le relative “scoperte” vi verrà mostrato al fondo del film e non sta a me spiegare come e perché tutto era collegato. 
La cosa che maggiormente coinvolge sono le musiche scelte, le quali hanno moltissima importanza, soprattutto nel terzo livello, quello delle battaglie. Molte sono reinterpretazioni di canzoni celebri, riarrangiate per l’occasione: “Army of Me” di Bjork, reinterpretata dagli Skunk Anansie assieme alla stessa artista islandese; “Tomorrow Never Knows” dei Beatles coverizzata da Alison Mosshart, cantante dei Kills, e Carla Azar degli Autolux; “Sweet Dreams (Are Made Of This)” reinterpretata da Emily Browning. 
La critica che mi sento di fare a questo film e al suo regista Zack Snyder (300, Watchmen, il regno di Ga’Hoole) è quella di aver creato un qualcosa di molto originale che però ha un elemento a mio avviso un po’ troppo ripetitivo, riferendomi alle scene del combattimento, troppo uguali tra loro. Penso che abbia un po’ abusato di tutto ciò ripetendo lo stesso schema diverse volte, rendendo questi momenti un po’ pesanti. 
Questa ovviamente non voleva essere una recensione e dubito che chi non ha ancora visto il film abbia capito gran che di esso leggendo queste righe. Però in fondo il mio intento era solo quello di incuriosirvi… Ci sono riuscito?


Mywo

mercoledì 25 maggio 2011

Best goal of the Premier League

Questa settimana ho deciso di cambiare “fornitore” di goal approfittando del bel video messo ha disposizione dalla BBC, la quale ha selezionato le migliori reti di questo anno di Premier League. La premessa/precisazione sta nel fatto che hanno deciso di scegliere un goal per mese quindi è possibile che molte altre bellissime reti non siano rientrate in classifica. Ecco la lista:

Agosto – Gareth Bale (Tottenham)
Settembre – Dimitar Berbatov (Manchester United)
Ottobre – Alex (Chelsea)
Novembre - Dimitar Berbatov (Manchester United)
Dicembre – Rafael Van der Vaart (Tottenham)
Gennaio – Raul Meireles (Liverpool)
Febbraio – Wayne Rooney (Manchester United)
Marzo – Charlie Adam (Blackpool)
Aprile – Simon Cox (West Brom)
Maggio – Carlos Tevez (Manchester City)

Il gol di Bale per coordinazione e difficoltà è mostruoso, contando anche dove si è infilata la palla. I due di Berbatov sono molto diversi ma altrettanto belli: nel primo si possono apprezzare le doti tecniche del bulgaro con stop e rovesciata a seguire; nel secondo è soprattutto premiata l’azione dello United che partendo dall’aera di rigore con passaggi rapidi e di prima intenzione arrivano fino all’area opposta. Un’altra bella azione è quella che porta al gol Van der Vaart, bravo a trovare l’angolo basso. Ci sono poi tre belle punizioni: la prima di Alex è semplicemente terrificante, ricorda (molto) vagamente quella di Roberto Carlos contro la Francia, potenza allo stato puro; quelle di Tevez e Adam sono altrettanto belle perché molto precise e tese nonostante la grande distanza. Ci sono poi due tiri da fuori, quello di Meirels al volo difficilissimo e quello di Cox che segna “alla Del Piero”. Infine il gol che più di tutti ho apprezzato, sia per la rete in se, sia per l’importanza della gara nel quale è stato fatto: Rooney decide il derby di Manchester con una sforbiciata stilisticamente perfetta che finisce sotto il sette.
E voi quale preferite?


Mywo

martedì 24 maggio 2011

Recensione di At the edge of time dei Blind Guardian


Ogni uscita discografica dei Blind Guardian, viste anche le loro tempistiche compositive, diviene per i fan un vero e proprio evento. Purtroppo, da qualche tempo a questa parte, gli stessi fan tendono a dividersi in due categorie ed entrambe attendono il nuovo album al varco: una fazione si prepara a recepire e analizzare con (forse eccessivo) entusiasmo la nuova proposta musicale, l’altra si prepara a denigrarla pressochè a prescindere, in nome del tristemente di moda “era meglio prima”. Quest’ultimo atteggiamento risulta oltremodo dannoso, specialmente nel mondo metal nel quale svariate “vecchie glorie” tentano un’evoluzione stilistica, dettata da una sincera voglia di cambiare, dai risultati talvolta davvero ottimi. La scelta di recensire questo disco a quasi un anno di distanza dalla data di pubblicazione può apparire poco sensata. Questo è però il tempo necessario per formulare un giudizio onesto e imparziale, privo del suddetto entusiasmo da “fan sfegatato” di cui la recensione sarebbe altrimenti stata pregna.
I Blind Guardian sono una band dall’esperienza più che ventennale e, dall’esordio Battalions of fear (1987), di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Difficile rinchiuderli nel power metal. I Blind Guardian sono la definizione stessa di un metal dalle tinte fantasy fatto di chitarre classiche, suonate con maestria, alternate a sfuriate di doppia cassa di pura matrice teutonica. Per farla breve: come i Blind Guardian ci sono solo i Blind Guardian. Ma quindi, “come suonano” i Blind Guardian? In molti li identificano con Somewhere far beyond, altri con Imaginations from the other side, altri ancora con Nightfall in Middle Earth. La verità è che i Blind Guardian non sono mai stati gli stessi per due dischi consecutivi. Sebbene il loro stile abbia caratteristiche ben precise che li rende riconoscibili al primo ascolto, ogni loro disco è un’opera a sé stante.
Facciamola breve: il disco in esame è la somma totale di ciò che i Blind Guardian sono stati finora con qualcosa di nuovo. Le partiture ricordano a tratti gli album precedenti (soprattutto nei soli), ripercorrendo in un certo senso tutta la discografia della band. Facile supporre che tale miscela possa sfociare in un caotico pastrocchio, in un minestrone senza capo né coda: niente di più sbagliato. Il tutto è gestito alla perfezione. At the edge of time risulta quindi essere un album compatto, ma dalla varietà stilistica notevole. Non mancano riferimenti alle sonorità grandiose di A night at the Opera che si concretizzano con la quasi costante presenza dell’orchestra, vero valore aggiunto del lavoro. Davvero lodevole ad esempio la traccia conclusiva, la lunga Wheel of time cui l’ensamble orchestrale ceco dona un sapore orientaleggiante davvero inedito. Interessantissimo l’uso del piano, finora poco utilizzato dai bardi di Krefeld. Coinvolgenti i brani più speed e ottime le ballad anche se mediamente inferiori ai classici della band. Nulla da dire sull’aspetto tecnico. La band è ben collaudata e il disco è ottimamente suonato e arrangiato. Le tematiche trattate nei testi (un plauso alle linee vocali, sempre adeguate ed efficaci) sono al solito di matrice fantasy e mitologica: Robert Jordan, Michael Moorcock, John Milton gli autori citati. Insomma, anche se non siamo nel campo dell’epic metal comunemente inteso (sulla cui definizione sarebbe il caso di discutere), il lavoro è dotato di un flavour decisamente epico. Parola ormai inflazionata, ma perfetta per l’occasione.
Tutto perfetto quindi, direte voi. Non del tutto. Il disco è lontano dalla perfezione anche se non di moltissimo. Cosa manca dunque? Innanzitutto l’ispirazione degli esordi. Se da un lato abbiamo un  balzo stilistico e una maturazione artistica davvero ragguardevoli, dall’altro è venuta a mancare un po’ della spontaneità che caratterizzava i primi lavori e che contribuiva a renderli accattivanti quasi al primo ascolto. In secondo luogo, forse, l’album deficita in termini di uniformità: abbiamo picchi qualitativi eccezionali, ma nella parte centrale del lavoro si registra una leggera caduta di tono (intendiamoci, nulla di disastroso!) che può indurre talvolta a premere il temuto tasto skip. Questo non avveniva negli album degli anni ’90 che, seppur meno raffinati, potevano contare su una qualità elevata ben “spalmata” su tutto l’album. “Difettini”, in un certo senso, amplificati però dal fatto che non si tratta dell’esordio di qualche band di ventenni. L’album rimane però eccelso e regge bene a ripetuti ascolti senza perdere un’oncia di valore. Che nell’anno 2010, col metal vittima di una crisi generalizzata, si possa ancora fare affidamento su Blind Guardian in un così meraviglioso stato di forma non è cosa da poco. Liberiamoci di pregiudizi, preconcetti, confronti con i capolavori del passato (poco utili per i motivi prima esposti) e godiamoci l’album: è semplicemente grande musica.


Spectraeon_86 

lunedì 23 maggio 2011

Verdetti finali

Tutti i campionati d’Europa sono finiti e quindi di conseguenza abbiamo anche vincitori e vinti. Avendo già parlato di ciò che è accaduto in serie A (link) così come già fatto per il campionato portoghese (link), ora vi farò una breve panoramica sugli esiti dei restanti tornei.


Premier League : il campionato più combattuto è stato ancora una volta quello inglese. Il livello di tale lega è ormai molto alto e l’appeal che suscita a livello di pubblico, per gli stessi giocatori e per gli investitori stranieri ne è la prova. Il verdetto di quest’anno però va un po’ oltre in quanto a vincere è stato il Manchester United di Ferguson. Questa ovviamente non è una gran novità ma parlando di numeri ci si accorge come questo successo porti i Red Devils a quota 19 titoli in Premier, permettendogli di scavalcare il Liverpool fermo a quota 18. Questo dato va letto associandolo all’era Ferguson (da 25 anni manager dello United), in quanto prima del suo arrivo i titoli vinti erano solo 7, dalla stagione 1992/93 il Manchester ha fatto suo il titolo per ben 12 volte. Quest’anno ha vinto sicuramente la squadra più continua, la più solida e quella che meglio ha saputo adattarsi all’andamento del campionato. Ferguson è stato un maestro nel saper sfruttare pazientemente tutti i suoi effettivi, ruotandoli e soprattutto dando il giusto spazio a quelli che erano maggiormente in forma nel corso della stagione. Berbatov ad esempio, che si è aggiudicato la classifica cannonieri, negli ultimi 3 mesi ha giocato pochissimo complice l’esplosione di Hernandez e la rinascita (fisica) di Wayne Rooney. A centrocampo Nani, miglior assistman della Premier, ultimamente ha lasciato molto spazio a Valencia che ha saltato tutta la prima parte di stagione causa infortunio.
Parlando dei singoli c’è da esaltare la fantastica stagione di Nemanja Vidic, premiato come miglior giocatore della Premier,  capitano di questa squadra, un muro insuperabile e fondamentale per tutta la stagione; impossibile non parlare di Ryan Giggs, dal 1991 lo United può contare su questo fantastico giocatore, quest’anno Ferguson ha pensato bene di riciclarlo, vista l’età, come interno del centrocampo a 3 e lui l’ha ripagato con una stagione sontuosa condita di grandi prestazioni e gol nelle gare decisive, il tutto a 37 anni. Detto della rinascita di Rooney, fondamentale per la sua duttilità, classe, tenacia c’è da sottolineare la prima stagione del messicano Chicharito Hernandez. Probabilmente Ferguson gli darà una maglia da titolare anche nella finale di Wembley e questo sta a dimostrare l’importanza che ha saputo ritagliarsi nella squadra; non è una seconda punta capace di saltare uomini come birilli, spesso sparisce dalla partita per minuti eppure quando c’è da esser decisivi lui arriva sempre prima del diretto marcatore, con le dovute proporzioni un Inzaghi giovane, un po’ più aggraziato e per ora con meno senso del gol e malizia. I complimenti da fare a questa squadra sono doppi se si pensa il livello del campionato ed il fatto che siano anche arrivati in finale di Champions per la terza volta in 4 anni.


Liga: il campionato spagnolo è qualche anno che mi entusiasma sempre meno. Il divario che c’è tra le due big ed il resto delle squadre è talmente marcato che si va sempre più verso quei campionati dall’esito quasi scontato, senza eccessiva bagarre. Il Barça ha dominato, non sono bastati Mourinho e i milioni di Florentino Perez per sovvertire quello che ormai è un ciclo vincente consolidato. Per il terzo anno consecutivo gli uomini di Guardiola hanno trionfato finendo a +4 sul Real secondo e a + 25 sulla terza, il Valencia. Quest’ultimo dato testimonia le due differenti velocità alla quale vanno le squadre spagnole. Il gioco dei catalani ha vinto su tutti e tutti, troppo coinvolgente, troppo paziente, troppo unico per non essere vincente. Al Real non sono bastati i 40 gol (record assoluto) di Cristiano Ronaldo, Messi si è fermato a 31 ma complessivamente è stato più decisivo del portoghese contribuendo anche con moltissimi assist alla vittoria finale.

giovedì 19 maggio 2011

Dr. House si dà alla musica blues con Let them talk

Sembra proprio che Hugh Laurie, interprete principale della celebre serie FOX, House M.D., sia realmente brillante come il dottore da lui interpretato. Non che nella vita di tutti i giorni scopra come curare i pazienti osservando, che ne so, una macchina passare, ma di certo Laurie si dimostra un'artista veramente eclettico. In questi giorni è uscito anche in Italia il primo album discografico dell'attore britannico, Let them talk, schizzato in cima alle classifiche in Francia, Gran Bretagna e Germania. Una significativa impronta blues con grandi collaborazioni (una su tutti Tom Jones) per Hugh Laurie che nel disco, oltre a cantare, suona pianoforte e chitarra, nonostante sia un musicista completo, capace di suonare anche batteria, armonica e sassofono. Il disco è stato anticipato dal singolo You don't know my mind che vi proponiamo qui di seguito.





Per gli amanti della serie televisiva, il talento di Laurie non è una novità: più volte abbiamo visto un Dr. House solo a casa seduto al pianoforte a cantare e recentemente, nella settima stagione, abbiamo assistito a un vero e proprio cabaret, nell'episodio Bombshells
La settima serie sta giungendo alla conclusione negli Stati Uniti con un Gregory House che è da poco stato lasciato dalla Cuddy (Lisa Edelstein) e che ora deve affrontare il solito dolore alla gamba, senza ricadere nella dipendenza da Vicodin. Pare che il dolore lo porterà nei prossimi episodi a un gesto estremo come quello di auto-operarsi munito di anestesia locale e bisturi. Nel mentre il suo team, formato da Foreman (Omar Epps), Chase (Jesse Spencer), Taub (Peter Jacobson) e "Tredici" (la lanciatissima Olivia Wilde) dovrà continuare ad aiutarlo a risolvere i casi clinici più disparati. Intanto la FOX ha annunciato il rinnovo per un'ottava stagione che, si spera, sia l'ultima; questo non perchè il livello si sia abbassato ma perchè si correrebbe il rischio di stufare e di perdere ascolti, il che porterebbe a una chiusura frettolosa e non degna di una delle migliori serie di tutti i tempi.
D9P

mercoledì 18 maggio 2011

Le raccolte di Spinoza: satira corrosiva dal blog alla carta stampata


Instancabile laboratorio di satira e parodia, il blog Spinoza è una continua fonte di risate (e di seria riflessione) sulla politica, la scienza e l’attualità quotidiana. Ogni giorno, decine di appassionati inviano le proprie battute, sempre riferite a fatti recentissimi, al forum del blog, e le migliori vengono selezionate per apparire sulla front-page del sito, visitata oltre un milione di volte al mese e da circa trentamila contatti unici al giorno. In anni di attività, di capolavori se ne sono sfornati veramente tanti, e i due creatori e curatori del blog Stefano Andreoli e Alessandro Bonino hanno pensato di riunire le migliori battute in un libro, prodotto nel 2010 da Aliberti editore, intitolato Spinoza – Un libro serissimo e sottotitolato Duecento pagine di satira corrosiva su vita, morte, chiesa, stato e altre cose su cui vale la pena scherzare. In effetti quelli di Spinoza scherzano su tutto: da Berlusconi (“Berlusconi a Ballarò: ‘Siete il festival della menzogna’. Lui è lì per il premio alla carriera.”) a Bersani (“Bersani: ‘Siamo alla fine di un’epoca, possono succedere tante cose’. E ora passiamo al sagittario.”), da Ratzinger (“Il papa sulla Fiat: ‘Ho a cuore l’occupazione’. Della Polonia.”) a Michael Jackson (“E’ morto Michael Jackson. In effetti ultimamente l’avevo visto un po’ palliduccio.”) e tanti altri personaggi discutibili. 
Il libro, che può vantare una prefazione entusiastica di Marco Travaglio, ha vinto il Premio Satira 2010, e un anno dopo Andreoli e Bonino sono pronti a presentare, al Salone del Libro 2011 di Torino, il sequel, sempre edito da Aliberti: Spinoza – Una risata vi disseppellirà, ovvero Duemila nuovissime battute di satira tagliente, scomoda, inevitabile e altri lavori che gli italiani non vogliono più fare. Dato alle stampe in questo mese, il secondo volume contiene un anno di battute, a partire da dove finiva il predecessore fino addirittura all’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta a inizio maggio. La qualità media di questo “Spinoza 2” è sempre molto alta, con picchi di genialità satirica e sintattica in grado di causare forti attacchi di risate, anche nei momenti meno indicati (nel mio caso, durante le lezioni universitarie; questa ha particolarmente esilarato me e D9P: “Cina, trovato cadavere con un’anguilla nel sedere. Che sistema scomodo, per trovare cadaveri.”). Un buon motivo per considerare l’acquisto è che molte delle battute sono inedite, anche per il sito; più banalmente, i libri sono corposi e consentono di sghignazzare anche quando si è offline. Un possibile svantaggio dei libri di Spinoza è che richiedono una grande conoscenza dell’attualità italiana e internazionale, e occasionalmente della Storia, per comprendere appieno le battute: si dà per scontato che si conoscano o ricordino subito i fatti e i personaggi, non sempre celebri, su cui vertono gli scherzi. Ma anche questo è parte del gioco intellettuale di Spinoza: se non sai, non puoi ridere, quindi tieniti informato!

Lor 

lunedì 16 maggio 2011

L'Italia all'Eurofestival con Raphael Gualazzi

Dopo 13 anni di assenza, l'Italia ha quest'anno partecipato all'Eurovision Song Contest, anche detto Eurofestival, giunto alla 56° edizione e ospitato dalla Germania, a Düsseldorf. La manifestazione è una gara musicale tra gli stati europei che desiderano prendere parte alla rassegna. Già dal settembre 2010 si era vociferato riguardo a un ritorno dell'Italia al festival ma la conferma è arrivata a dicembre: dopo alcune voci che volevano Nathalie (vincitrice dell'ultima edizione di X-Factor) a rappresentare il nostro paese, la scelta definitiva è poi ricaduta su Raphael Gualazzi, vincitore di Sanremo Giovani.
La storia dell'Italia all'Eurofestival vede due vittorie: nel 1964, Gigliola Cinquetti con Non ho l'età e nel 1990 Toto Cutugno con Insieme: 1992.
L'edizione 2011 ha previsto due semifinali (10 e 12 maggio, la seconda trasmessa in Italia su RAI5) da cui sono uscite 20 canzoni a rappresentare 20 paesi; a queste si sono poi aggiunte 5 Big, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Italia, vale a dire le nazioni che più contribuiscono alle attività dell'EBU, European Broadcasting Union. La finale, svoltasi sabato 14 maggio e trasmessa in diretta su RAI2 con commento di Raffaella Carrà, ha visto trionfare l'Azerbaigian (che quindi ospiterà la prossima edizione) con Running scared di Ell e Niki, canzone abbastanza banale ma di immediato appeal. La vera sorpresa si trova però al secondo posto: nonostante un pronostico negativo, del 23° posto, Raphael Gualazzi ha raggiunto un altro grande risultato, dopo il successo a Sanremo. Ed è proprio con Madness of love, traduzione di Follia d'amore, che Raphael ha agguantato un meritatissimo piazzamento sul podio.

Il trentenne jazzista italiano, all'anagrafe Raffaele Gualazzi, si è guadagnato in pochissimo tempo grande stima e popolarità, per un ragazzo in realtà molto timido, scoperto da Caterina Caselli. Il suo album Reality and fantasy contiene, tra le altre, la canzone omonima già conosciuta in buona parte d'Europa e che ha fatto da colonna sonora a uno spot FIAT, e A three second breathe, nuovo singolo in rotazione in alcune radio. Speriamo che il successo europeo di Raphael venga sostenuto dal pubblico italiano, così bramoso di nuovi e meritevoli talenti.
D9P 

Let’s talk about… #1

Il metro di giudizio e l’arte

NdA: Questo è il mio primissimo intervento su Vasi Comunicanti, che mi ha gentilmente accettato nell’organico. Un grazie a Daniele e a Alberto per l’opportunità.

A lungo mi sono chiesto quale fosse il modo migliore per iniziare la mia collaborazione con VC. Una recensione musicale? Una serie di news dal mondo della musica? Una monografia per conoscere meglio una band in particolare? Soluzioni forse troppo asettiche per un sito che si prefigge il non indifferente obiettivo della “libertà d’affissione”. Mi piacerebbe quindi inaugurare con una – chiamiamola così – rubrica di riflessioni che spero possano in futuro condurre a piacevoli scambi di opinione. Senza ulteriori indugi, entriamo nel vivo dell’argomento.
L’ispirazione per questo trafiletto giunge dopo il suddetto periodo di indecisione quando, ad un tratto, navigando su YouTube, mi si para davanti il seguente video.

Visto? Ok. Devo ammettere che, dopo la primissima visione, ho riso. E molto anche. Oltre all’immediata ilarità, il buon TruceBaldazzi ha suscitato in me un’altrettanto immediata simpatia. Sarà la erre moscia, la parlata bolognese o la sua notevole mole unita al viso da buontempone e alle movenze aggraziatissime. Sta di fatto che l’ho inavvertitamente scambiato per una sorta di fenomeno da YouTube. Una breve ricerca sul web però ha portato alla luce qualcosa che non avevo considerato. Matteo “Truce” Baldazzi ha un agguarritissimo (e numericamente più che discreto) stuolo di fans, pronti a difenderlo in ogni circostanza e di fronte alle critiche di chiunque. Inoltre può contare su un buon numero di estimatori più neutri che lo considerano un artista più che decente se non addirittura buono. Mi permetto di citare il post di un mio amico che lo definì: “Un mosca bianca nel panorama stereotipato del mondo rap moderno, dove se non sei un gangsta non sei nessuno... Con le sue rime baciate ma non troppo, la sua metrica molto libera, i suoi testi che rispecchiano i problemi della generazione X…”. Rapper geniale e originale oppure un “wannabe” che rappa fuoritempo e che si incazza perché aveva contrasti con gli insegnanti?  Ai posteri l’ardua sentenza.
Il punto è: la linea di demarcazione dove sta? Mi spiego meglio. In campo musicale, cinematografico e, più in generale, artistico tendono a nascere continuamente cose nuove, siano esse opere isolate o vere e proprie correnti di pensiero. Esiste un modo univoco per stabilire se qualcosa è “bello” o “brutto” o “inutile” o “geniale” o altro? Oppure dipende tutto dalle emozioni, dalle sensazioni… dal metro di giudizio personale di ciascuno di noi? O ancora (e questo non avviene solo in campo artistico purtroppo), si tratta spesso solo di uno scontro tra fazioni elitarie? D’altronde è ben nota l’ancestrale lotta, ad esempio, tra i metalheads e i cosiddetti truzzi, nella quale molto spesso un determinato tipo di sonorità viene apprezzato solo perché “è dalla nostra parte”, non importa quanto scadente possa essere.
In conclusione. Cosa, dentro di noi, rende geniale – e non sconclusionato – il primo dialogo di Pulp Fiction? Cosa, dentro di noi, trasforma un insieme di macchie e strisce di colori nella massima espressione dell’animo tormentato del pittore? Davvero non esiste un metro di giudizio che sia, a meno di fluttuazioni aleatorie dipendenti dall’individualità, circa uguale per tutti? Se davvero non esistesse, questo implicherebbe l’inesistenza dei concetti di “bello” e “brutto”? Spero che qualcuno ne voglia parlare o dare la propria opinione, specialmente chi possa vantare maggiore esprienza di me.
Alla fine, quindi, TruceBaldazzi è davvero un genio incompreso? Non lo so davvero, ma debbo dire che la base di La mia ex ragazza, voce a parte, mi fa impazzire.
Spectraeon_86

Questo è un lavoro per...Smallville!

Dieci anni di storie per completare il percorso che ha portato Clark Kent, imbranato contadinotto, a diventare l’uomo d’acciao, Superman: questo è stato il lungo percorso di Smallville, conclusosi venerdì 13 maggio negli Stati Uniti.
Con ben 218 episodi da 40 minuti l’uno, la serie televisiva, dal 2001, ha tessuto una tela (a tratti stiracchiata, ma sono esigenze di mercato) lunga oltre 145 ore: mettere in chiaro questi numeri è fondamentale per comprendere la monumentalità di un’opera forse non eccelsa ma che sicuramente sarà ricordata (e riproposta) per molti anni a venire. I difetti della storia sono stati sempre gli stessi, con scontri epici durati meno di una manciata di secondi e uno strano fanservice che un minimo di amaro in bocca lo lascia (non c’è una singola inquadratura in cui si veda Superman da vicino a figura intera, non si vede la Justice League al completo e nessuno chiama mai Clark “Superman”), il tutto condito da una fastidiosa attitudine della trama a non lesinare qualche bel buco qua e là, ma alla fine il risultato è stato sufficiente a creare un minimo di nostalgia negli occhi degli appassionati.
La serie ha avuto alti e bassi, i primi principalmente merito degli attori (in particolare l’ottimo Michael Rosembaum, Lex Luthor), i secondi per una generale sensazione di "vorrei ma non posso", con effetti speciali striminziti e scene d’azione troppo spesso sottotono, ma nel complesso il telefilm, partito senza eccessive pretese, ha resistito per un decennio ai numerosi tagli del network (prima The WB e ora The CW), arrivando fino all’ultimo episodio. Da qui in avanti ci saranno grossi ‘spoiler’ sulla storia.
Clark, alla fine, è riuscito a volare e ad abbattere Darkseid, nemico storico anche nei fumetti, con un solo colpo (cosa molto deludente, a dire il vero), per poi volare via nei panni di Superman (sequenza invece di grande effetto) per salvare il mondo dall’impatto con Apokolips, enorme pianeta attirato dal nemico: citando il finale di Superman Returns, l’Uomo d’Acciaio ha salvato il mondo per poi, sette anni dopo, diventato l’eroe che tutti conosciamo, organizzare le nozze con Lois Lane proprio mentre un redivivo Lex Luthor viene eletto presidente. Alla fine, sulle note del tema musicale classico di John Williams usato nei vari film dedicati all’eroe, Clark si slaccia la camicia correndo verso lo schermo.
Oramai, alla fine, questo è un lavoro per Superman.

Per vedere gli ultimi epici minuti di Smallville cliccare sul seguente link!


Falco_Nero87

sabato 14 maggio 2011

Best goal of the week # 15

Dopo due settimane di pausa torna la nostra rubrica con i migliori gol della settimana. In questo caso c’è da segnalare il fatto che non ci siano grandi nomi e nemmeno grandi squadre coinvolte, però le reti sono comunque molto spettacolari.
Chi in effetti ha un nome vagamente familiare è Michel Platini ma no, non si tratta di un gol fatto dall’attuale presidente dell’Uefa bensì dall’attaccante brasiliano del CSKA, omonimo di “Le Roi”, che segna con un gran tiro al volo da fuori area. Altro gol simile è quello di Saihi del Montpellier. L’azione maggiormente spettacolare è invece sicuramente quella che porta al gol Sialmas in sforbiciata su cross effettuato in rabona. Ci sono poi due gol effettuati da distanza veramente siderale e sono quelli di Grzelczak (poveri telecronisti…) e di Sivakov, entrambi bravi a centrare la porta da più di 40 metri.

1) Jamel Saihi (Montpellier)
2) Mostto (Sport Huancayo)
3) Ntibazonkiza (Cracovia)
4) Eran Zahavi (Hapoel Tel Aviv)
5) Michel Platini (CSKA Sofia)
6) Sialmas (PAS Giannina)
7) Grzelczak (Widzew Lodz)
8) Efrain Velarde (Pumas)
9) Maicosuel (Botafogo)
10) Sivakov (Wisla Krakow)

Buona Visione




Mywo

venerdì 13 maggio 2011

Milan campione!


Il campionato italiano ha il suo vincitore, il Milan di Allegri che con due giornate d’anticipo può festeggiare spezzando il dominio interista degli ultimi anni. I rossoneri sono la terza squadra a vincere il campionato nazionale quest’anno dopo il Porto che ha concluso il tutto con 5 giornate d’anticipo (ne abbiamo parlato qui), il Borussia e da ieri sera anche il Barcellona dei quali parleremo prossimamente.
Tornando alla Serie A penso sia palese il fatto che quest’anno abbia vinto la concretezza e la continuità della squadra milanese, l’unica che è riuscita a sopperire agli infortuni anche grazie ad un mercato ricchissimo ed allo stesso tempo oculato. Entriamo nel dettaglio: ad inizio stagione arriva Massimiliano Allegri, tecnico giovane che ha fatto benissimo col Cagliari (vincendo anche la panchina d’oro 2010 davanti a Mourinho); parlando di mercato, quanto successo deve far pensare perché l’attacco rossonero era composto da Borriello, Ronaldinho, Pato, Inzaghi e Huntelaar e sinceramente l’ultima cosa che mi sarei aspettato era una rivoluzione quasi totale di tale reparto. Sono partiti inizialmente in due (Borriello e Huntelaar) e ne sono arrivati altrettanti ma la differenza qualitativamente è apparsa chiara e netta a tutti. Ibrahimovic e Robinho sono un upgrade mica da ridere. Allegri è stato molto bravo a sfruttare lo svedese al meglio e lui l’ha ripagato risultando il vero trascinatore di inizio stagione con gol e prestazioni importanti. Un altro grande merito del tecnico è stato quello, una volta infortunatosi Pirlo, di non cercare di sostituirlo con un giocatore che interpretasse quel ruolo con le quelle caratteristiche (essendo Pirlo unico come regista) bensì ha fondato il cosiddetto “Milan dei tre mediani” con Ambrosini a far filtro davanti alla difesa e Flamini (finalmente una stagione all’altezza la sua), Gattuso, Boateng e Seedorf mezz’ali. Questa nuova formula ha delineato un Milan diverso, molto più solido ed equilibrato. Nel mercato di Gennaio i dirigenti rossoneri sono stati altrettanto bravi con interventi mirati e senza spendere praticamente nulla. In particolare è stato fondamentale l’acquisto di Van Bommel dal Bayern perché ha coperto il buco lasciato da Ambrosini, infortunatosi, e unico giocatori in grado di giocare davanti alla difesa.
Come sempre il campionato lo vince la squadra più solida e con la miglior difesa, il Milan non fa eccezione. La coppia Nesta Thiago Silva è stata insuperabile, il brasiliano in particolare ha avuto una crescita impressionante e ad oggi è sicuramente uno dei migliori 3 centrali al mondo. Meritevole di nota è stato sicuramente il campionato di Ignazio Abate, migliorato tantissimo difensivamente e sempre prodigo di sovrapposizioni e cross (Prandelli penso ne terrà conto). Importante anche l’innesto estivo di Yepes che ha saputo non far rimpiangere Nesta quando è mancato diventando da subito un idolo dei tifosi. Rimanendo in tema di idoli, uno che sicuramente ha fatto breccia è stato sicuramente Kevin Prince Boateng: centrocampista eclettico, spesso usato anche da trequartista, ha dato energia a questo Milan oltre a fornire una novità non indifferente, la capacità di recuperare palloni nella metà campo avversaria visto il livello di pressing che ha saputo tenere. Oltre a questo c’è da segnalare la sua grande abilità negli inserimenti senza palla che gli hanno permesso di segnare gol importanti. A gennaio è arrivato anche Cassano, prendendo il posto dell’ormai pensionato Dinho e siamo così passati a parlare dell’attacco. In verità l’apporto di Cassano a questo scudetto è stato quasi nullo, in quanto il barese veniva dal periodo di esilio doriano ed era completamente fuori forma. Oltre a ciò ha dovuto ambientarsi in una realtà molto diversa, in cui di certo non è una prima donna ma solo un comprimario arrivato ad arricchire un reparto super ricco. Penso che il suo apporto lo si vedrà meglio il prossimo anno. Inzaghi ha finito la stagione con 6 mesi d’anticipo mentre chi c’è stato ad intermittenza (come sempre del resto) ma che è riuscito a fare la differenza pesantemente è Pato. Il brasiliano ha una media impressionante, nessuno come lui alla sua età, il problema restano gli infortuni muscolari nei quali cade e ricade troppo spesso. Per finire parliamo dell’attaccante più naif del campionato: Robinho. Il brasiliano può piacere o meno ma tra tutti è quello che ha giocato di più, in tutti i ruoli dell’attacco e che nonostante sia riuscito a mangiarsi gol incedibili ha dato il suo apporto anche in zona gol con 12 reti.
Penso che il Milan abbia meritato questo titolo dimostrandosi squadra solida e ben assortita. I complimenti vanno fatti ad Allegri che al primo anno è riuscito a centrare lo scudetto e soprattutto ai dirigenti che senza spendere grosse cifre (perlomeno per i cartellini, visto che gli ingaggi sono stellari) hanno messo in mano al tecnico una squadra molto competitiva.

Mywo