lunedì 29 agosto 2011

Il ritorno del guerriero dragone: Kung Fu Panda 2


La leggenda del panciuto, goffo e coraggioso panda Po è nata nel 2008 con il film d’animazione Kung Fu Panda, prodotto dalla Dreamworks con la direzione di Mark Osborne e John Stevenson, e continua quest’anno con il sequel dal titolo molto fantasioso Kung Fu Panda 2, uscito a fine maggio negli Usa e il 24 agosto in Italia in versione 2D e 3D. Alla regia stavolta c’è Jennifer Yuh, originaria della Corea del Sud, prima donna in assoluto ad aver diretto un film d’animazione hollywoodiano e già sceneggiatrice del primo Kung Fu Panda; in particolare, la Yuh ne aveva diretto la bellissima sequenza iniziale a due dimensioni, e anche l’inizio del sequel, che racconta la genesi del nuovo cattivo con una tecnica che ricorda le marionette cinesi, risalta per fascino e tecnica. Sempre ambientato nella Cina antica, con atmosfera quasi mitologica, Kung Fu Panda 2 introduce il perfido pavone Shen, erede al trono troppo interessato ai potenziali usi bellici della polvere da sparo dei fuochi d’artificio e per questo bandito, pur a malincuore, dai suoi genitori; quando una vecchia capra indovina ne ha predetto la sconfitta a opera di un guerriero bianco e nero, Shen ha dato la caccia a tutti i panda della zona per poi avviare la produzione in larga scala di enormi cannoni, armi devastanti in grado di rendere inutili le tecniche kung fu. Anni dopo, Shen assalta il palazzo reale per insediarsi come tiranno guerrafondaio, e toccherà al Guerriero Dragone, ovvero il panda Po, e ai suoi amici, i Cinque Cicloni (Tigre, Scimmia, Mantide, Serpente e Gru), viaggiare verso la capitale Gongmen per risolvere la situazione. Le empie gesta di Shen sono legate a doppio filo al passato di Po, che ha cominciato a chiedersi, un po’ in ritardo, se per caso l’oca Ping non sia il suo vero padre. Da dove proviene Po? Riuscirà l’eroico quanto imbranato panda a trovare la pace interiore e a salvare la Cina dalle terribili ambizioni di Shen?
Per unire estetica orientale e narrativa occidentale, la regista Yuh ha reso i combattimenti più numerosi e più coreografici rispetto all’originale, sposando i dettami del genere cinematografico cinese wuxiapan, di cui sono esempi recenti La tigre e il dragone, Hero, La foresta dei pugnali volanti e Seven swords, e al contempo ha mischiato scene toccanti con gag anticlimatiche. Le scazzottate tra buoni e cattivi sono fluide e affascinanti come danze, con tocchi di comicità efficace, mentre invece i dialoghi che dovrebbero far ridere non sempre raggiungono lo scopo, per via di battute o equivoci un po’ forzati. La trama non riserva grandi colpi di scena (le origini di Po sono intuibili dai primi minuti di visione), ma la realizzazione tecnica del film, specie nei dettagli e nelle scelte cromatiche, merita un applauso. Come già il film precedente, la versione americana di Kung Fu Panda 2 può vantare attori celebri tra i suoi doppiatori, tra cui Jack Black, Dustin Hoffman, Gary Oldman, Angelina Jolie, Jackie Chan, Lucy Liu e Jean-Claude Van Damme; nella versione italiana le voci principali appartengono a Fabio Volo, Massimo Lodolo, Francesca Fiorentini, Eros Pagni, Roberto Draghetti e Francesco Pannofino. Il film ha ampiamente ripagato le spese di produzione sostenute dalla Dreamworks, con un incasso di oltre 160 milioni di dollari negli Stati Uniti e più di 620 nel mondo; in Cina il film è stato proiettato a partire dal giorno prima del “Children’s Day”, festa nazionale del bambino che cade il primo giugno, e ha suscitato polemiche per la presunta commercializzazione hollywoodiana della festa e per le inesattezze nei riferimenti del film alle antiche tradizioni cinesi. Contemporaneamente al film è stato distribuito nei vari paesi anche il videogioco Kung Fu Panda 2, disponibile per PlayStation 3, Xbox 360, Wii e Nintendo DS, in cui Po e i suoi amici affrontano una nuova minaccia a suon di mosse d’arti marziali.

Lor

mercoledì 24 agosto 2011

Il peso della valigia di Ligabue: video ufficiale e ultime novità


Ligabue non vuole proprio allontanarsi dalle scene: dopo il successo di Campovolo 2.0 e ben sei singoli estratti dal fortunato album Arrivederci, mostro! (che, per chi non lo ricordasse, è uscito nel maggio 2010), è tempo di scoprire il video dell'ultimo singolo (e speriamo anche ultimo estratto), Il peso della valigia. In esclusiva per il sito del Corriere della sera, il videoclip è stato diffuso oggi e sta facendo il giro del web. 
Il peso della valigia è uno dei brani più belli dell'album, il cui testo è tratto da una poesia del Liga del 2003 contenuta nel libro Lettere d'amore nel frigo (2006). Il testo racconta il percorso di vita di una ragazza, gli alti e bassi che caratterizzano la quotidianità e soprattutto il peso dei ricordi, il peso dei problemi ma anche il peso che può raggiungere la vita. Il videoclip, girato a New York da Marco Salom, mostra esattamente quanto raccontato dalla canzone: il sole, la pioggia, la tempesta di una ragazza, con i suoi umori, con la sua forza e la sua debolezza, la sua femminilità e la sua cattiveria. Una persona che deve trovare la sua strada, convivendo con il peso del suo bagaglio personale, il peso della valigia.

"e le tue gambe andavano sempre
solo sempre più adagio
e le tue braccia reggevano a stento

il peso della valigia"



Per concludere il periodo forse più fortunato per il cantautore emiliano, a novembre è atteso un doppio e triplo disco con il recente live di Campovolo 2.0, che conterrà tre inediti M'abituerò, Sotto bombardamento e Ora e allora. A dicembre infine toccherà ai cinema ospitare il rock di Ligabue con il concerto di Campovolo 2.0 in 3D.
Siamo dunque alla fine di questa lunga stagione targata Ligabue? Per il bene di artista e fan spero sinceramente di sì, perchè troppa esposizione mediatica rischia seriamente di stufare.
D9P

sabato 20 agosto 2011

La caccia di Hanna

Co-produzione statunitense, inglese e tedesca, Hanna è un thriller scritto e sceneggiato dall'esordiente Seth Lochhead e diretto da Joe Wright, già regista di diverse serie televisive e dei film Orgoglio e pregiudizio e Il solista, ed èuscito nelle sale americane lo scorso 8 aprile e il 12 agosto in Italia. Hanna (Saoirse Ronan) è una sedicenne da sempre vissuta tra le foreste del circolo polare artico finlandese con suo padre Erik Heller (Eric Bana), il quale per anni l'ha addestrata nelle tecniche di caccia, nelle arti marziali, nella conoscenza delle lingue straniere e nel comportamento da adottare con eventuali estranei. Erik ha cresciuto una ragazzina dalle abilità letali, anche se dall'animo candido, in vista di un suo futuro incontro con Marissa Wiegler (Cate Blanchett), perfida agente della CIA che nasconde lo stesso orribile segreto di Erik. Un giorno Hanna decide di essere pronta per vedere il mondo esterno e attiva un segnalatore, subito rilevato dalla squadra di Marissa, dando il via alla caccia all'uomo: Erik e Marissa si separano, con l'obiettivo di incontrarsi di nuovo a Berlino, proprio qundo le forze speciali della CIA cominciano a piovere loro addosso. Nel corso del suo viaggio in giro per il mondo, Hanna incontrerà una famiglia americana e stringerà amicizia con la logorroica figlia Sophie (Jessica Barden), mentre Marissa recluterà una sua vecchia conoscenza, il fischiettante e spietato assassino Isaacs (Tom Hollander). Quale segreto nascondono Erik e Marissa? Chi è veramente Hanna? E soprattutto, chi sopravviverà alla caccia?

Hanna mescola gli inseguimenti e gli scontri adrenalinici alla Bourne Identity con la delicatezza di un viaggio di formazione adolescenziale: la bionda protagonista Saoirse Ronan, già protagonista di Amabili resti e Ember - Il mistero della città di luce, è molto brava nell'assumere un'aria fredda e ingannevolmente innocente nei confronti dei suoi nemici, ma può anche sfoggiare espressioni candidamente felici quando ascolta, per la prima volta nella sua vita, della musica o confuse quando non sa come relazionarsi con la sua prima amica o con il primo ragazzo che tenta, ahilui, di baciarla. L'antagonista Cate Blanchett, famosa per i suoi ruoli in film quali Elizabeth, Il signore degli anelli, The Aviator, Il curioso caso di Benjamin Button e Robin Hood, dà qui sfogo a tutta la sua gelida cattiveria: l'agente Marissa esprime una personalità violenta e zelante fino alla crudeltà, e risulta un'ottima controparte per Hanna. La Blanchett ha commentato la storia del film come "la sceneggiatura più terrificante che io abbia mai letto in tutta la mia vita". Eric Bana, già protagonista dell'Hulk di Ang Lee e co-protagonista in Troy e Star Trek, se la cava senza scene particolarmente memorabili, ma riesce a far trasparire l'enorme affetto che Erik prova per sua figlia anche quando le punta una pistola alla testa o viene da lei scazzottato a sangue. Una particolarità del film è il costante riferimento, a volte esplicito, alle fiabe dei fratelli Grimm, e in particolare a Cappuccetto rosso. Un dettaglio stilistico non indifferente, infine, è la colonna sonora firmata Chemical Brothers, ipnotica e potente, che rende le scene d'azione ancora più  coreografiche ed esaltanti.


Lor

venerdì 19 agosto 2011

SPECIALE – Loreena McKennitt (parte 2)


Prosegue la nostra breve panoramica della carriera della nota cantante e compositrice canadese Loreena McKennitt. Si entra ora nel vivo, con i magici dischi degli anni ’90, veri punti di svolta della discografia dell’artista.

The mask and mirror (1994)

Tre anni dopo il pluripremiato The visit, fa la sua comparsa nei negozi The mask and mirror. Triplo platino in Canada e disco d’oro negli States, è a mio avviso il migliore album della McKennitt insieme al successivo The book of secrets. Il timbro dell’artista e il suo modo unico di interpretare i brani non cambiano, tuttavia l’evoluzione si palesa immediatamente, a partire dall’opener The Mystic’s Dream. Il brano (e il disco, più in generale) emana un forte aroma di luoghi lontani, come mai prima d’ora. La musica evoca immediatamente immagini di remoti monasteri, fiabe e leggende cavalleresche del Nord Europa e al contempo profuma di oriente, di spezie e di mercati nordafricani dai colori chiassosi. Il disco è infatti frutto di una serie di viaggi, intrapresi da Loreena negli anni precedenti e che l’hanno condotta in Spagna, Irlanda, Francia e Marocco. Il multiculturalismo spagnolo, percepibile nella meravigliosa architettura moresca del paese, è di grande ispirazione per la McKennitt: le sue composizioni ne risentono e lo riproducono alla perfezione. Chiunque sia incline a un certo tipo di immaginazione fiabesca, fantastica e onirica dovrebbe ascoltare quest’opera. Tra gli highlights del disco sicuramente l’orecchiabile The Bonny Swans (pregevolissimo e piacevolmente inaspettato l’assolo di chitarra elettrica), la lunga e meditativa The Two Trees e la ritmata Santiago. Musica che fa viaggiare. Capolavoro assoluto.

The book of secrets (1997)

Il disco del successo arriva nel 1997. Nonostante il notevole successo di The mask and mirror, forse a causa del cambio stilistico, The visit s’era dimostrato migliore in termini di vendite. Alla fine del XX secolo però, l’audience ha ormai recepito le nuove atmosfere di Loreena. Il disco che l’artista sfodera, The book of secrets, è quello del successo planetario. Quadruplo platino in patria, doppio platino negli USA, disco d’oro in Germania e ottime vendite nel resto del mondo: una grande annata per la musica “impegnata”, affossata sempre di più dai brani da “una botta e via”, decisamente più consoni al ritmo frenetico e spossante degli ultimi decenni. Il disco è di nuovo un centro pressochè perfetto, nonostante i sentori orientaleggianti siano divenuti più velati (eccezion fatta per il brano Marco Polo). I viaggi di Loreena la conducono questa volta attraverso l’Inghilterra, l’Italia e l’ex-Unione Sovietica, permettendole di recuperare, almeno in parte, molto del suo mood celticheggiante. Ne è prova lampante la celeberrima The Mummer’s Dance, ispirata alle rappresentazioni dei cosiddetti mummers, attori di rappresentazioni folkloristiche di strada, tipici della cultura anglosassone. Il disco si compone di otto tracce ed è pressochè impossibile citarne alcune senza provare senso di colpa: tutte meriterebbero una menzione. Su tutte, sceglierei forse la pianistica Dante’s Prayer e la strumentale La Serenissima. A parer mio, lievemente inferiore al precedente, ma comunque un opera di qualità sopraffina. La strada parrebbe spianata per Loreena McKennitt. Nel 1997 nessuno sapeva che sarebbe rimasta lontana dalle scene per ben nove anni a causa di una disgrazia che l’avrebbe colpita di li a poco.

An ancient muse (2006)

Nel 1998, il fidanzato di Loreena (insieme al di lui fratello e a un amico) annegò in un incidente di barca. I due dovevano sposarsi entro breve. La tragedia colpì duramente Loreena che, conclusi alcuni obblighi contrattuali legati alla pubblicazione di un disco live, si ritirò dalle scene per ben nove anni. L’anno del ritorno è il 2006. L’interesse suscitato dalla sua proposta musicale con The book of secrets si è ormai spento e il successo degli anni ’90 ormai appare lontano. I tempi sono cambiati e così pure i gusti del grande pubblico: tutto cambia repentinamente nel nuovo millennio. Se dunque la qualità della musica celata dietro la copertina blu di An ancient muse è sempre la stessa, è l’accoglienza a essere ben diversa. Nessun riconoscimento nel mondo e, anche se il Canada si dimostra fedele facendo guadagnare all’album il disco di platino, siamo ben lontani dal successo verso cui Loreena sembrava ormai essere inesorabilmente lanciata. Graditissimo il ritorno della commistione tra melodie celtiche e arabeggianti che aveva reso memorabile The mask and mirror e che si concretizza in brani quali The gates of Istambul e Kecharitomene. I brani dal mood più classico risultano essere meravigliosamente composti e arrangiati, specialmente la quasi sacrale The english ladye and the knight e Penelope’s Song, dal sapore fantasy e romantico. Menzione speciale per la maestosa Beneath a Phrygian Sky, con il suo intermezzo da brividi e con passaggi che mi azzarderei a definire sulla soglia del prog più atmosferico. Un disco meraviglioso che purtroppo, è arrivato troppo tardi per godere della popolarità che la sua artefice aveva guadagnato.

Nights from Alhambra (2007)

Il successore di An ancient muse deve ancora nascere. Tuttavia, non si possono non spendere due parole per il maestoso live Night from Alhambra. Platino in Germania, l’opera si presenta in un elegante pack contenente due cd e un dvd con il video del concerto in altà qualità. Innanzitutto, l’aspetto tecnico. La registrazione è ottima, così come la resa sonora. Eccellente anche la scenografia, senz’altro migliorata ulteriormente dalla pittoresca varietà di insoliti strumenti sul palco. Loreena McKennitt non è una cantante particolarmente appariscente, ma tutto ciò che la circonda incornicia perfettamente la sua alta figura, sia mentre canta, sia mentre suona i suoi numerosi strumenti. Meravigliosa la location, il palazzo moresco Alhambra a Granada. Sinceramente non potevo pensare a un luogo che incarni meglio lo spirito della musica della McKennitt. Ciò che la piccola audience ha avuto modo di vedere è uno show pregno della magia emanata dai dischi in studio, eseguito alla perfezione dai bravissimi strumentisti e permeato da un discreto alone di umiltà e di malinconia che dona a tutto il lavoro una genuinità disarmante. Lavoro di altissima qualità e commovente. Semplicemente commovente.


Spectraeon_86

domenica 14 agosto 2011

SPECIALE – Loreena McKennitt (parte 1)


Prima che la nota cantante canadese Loreena McKennitt si ripresenti in Italia per uno dei suoi memorabili concerti o per promuovere un nuovo album di inediti, di tempo ne dovrà passare parecchio. Per meglio ingannare l’attesa (per il sottoscritto, a tratti, spasmodica), ho pensato di riassumere il percorso, soprattutto dal punto di vista artistico, di questa poliedrica e raffinatissima cantastorie. Spero che questo possa far piacere a chi la conosce e possa incuriosire chi ancora non ha avuto modo di ascoltare la sua musica. Cantante, pianista, fisarmonicista e arpista, Loreena McKennitt non è una musicista facile. Benché le sue melodie siano accattivanti e orecchiabili, ella non è avvezza alla forma canzone: i suoi brani (o per lo meno la maggior parte di essi) sono lunghi, privi di ritornelli e con poche variazioni ma impreziositi da divagazioni strumentali decisamente azzeccate. Partita dalla musica folk irlandese, è divenuta una delle colonne portanti della celtica internazionale riuscendo in seguito a creare inedite e riuscitissime mescolanze sonore con la musica mediorientale (un esempio su tutti la coraggiosissima versione arabeggiante del canto natalizio God rest ye merry gentlemen). Lo schema proposto risulta di non facile assimilazione soprattutto per i non anglofoni. Nei suoi testi, Loreena racconta storie, leggende e fiabe, recita poesie, narra dei suoi viaggi e di culture diverse: chi non fosse in grado di comprendere le sue parole potrebbe trovare ostica la proposta musicale della McKennitt. Come molte altre cantanti soliste è stata spesso paragonata alla ben più nota Enya: tuttavia, tolto il fatto che le due sono entrambe donne, le somiglianze sono ben poche. A partire dal registro vocale (quello di Loreena è decisamente più acuto) e proseguendo con lo stile, le sonorità, gli strumenti e così via. Mi sentirei di affermare che Loreena McKennitt è un’artista unica nel suo genere.
Loreena Isabel Irene McKennitt nasce nel 1957 a Morden, una cittadina del Canada meridionale. Le origini irlandesi sono rese evidenti dal cognome del padre. Il fascino che ella prova nei confronti del suo retaggio costituirà il punto di partenza e di arrivo del suo percorso musicale. Loreena si dedica fin da piccola allo studio del canto e del pianoforte per alcuni anni e con apprezzabili risultati. La sua esperienza artistica è però all’inizio per lo più di carattere locale. Canta e si esibisce solo nei dintorni della sua città fino al 1981 quando si trasferisce a Stratford in Ontario. Fino ad ora è stata una musicista amatoriale (nel frattempo si dedicava agli studi di veterinaria): la carriera da professionista è a portata di mano. Si dedica alla composizione per diverse produzioni cinematografiche e televisive canadesi. Allo stesso tempo si esibisce e scrive musica. La svolta giunge le 1985, anno di fondazione della Quinlan Road Records, di proprietà della McKennitt, tramite la quale ella pubblicherà tutti i suoi album.

Elemental (1985)

Il primo lavoro della McKennitt è più che altro una raccolta di rivisitazioni di brani tradizionali della cultura irlandese. Si hanno due soli inediti, il cui testo è tuttavia tratto da poesie di Yeats e Blake. L’album è un buon successo: Loreena si dimostra una cantante talentuosa ed espressiva. Diversi brani del disco spiccano ancora oggi: Blacksmith, Stolen child, She moved through the fair e Kellswater sono, a parer mio, tra le migliori del disco. Il tutto è dotato di un flavour bucolico alimentato dal fatto che l’album è stato registrato in una sola settimana in un fienile immerso tra i girasoli. In alcuni brani è ancora possibile ascoltare i suoni della natura circostante in sottofondo, dando l’impressione che Loreena canti davvero in mezzo alla natura, come sulla cover dell’album.



To drive the cold winter away (1987) e la musica “invernale”

Due anni dopo Elemental, da Quinlan Road giunge questo nuovo lavoro, nuovamente costituito quasi per intero da canti tradizionali irlandesi tipici della stagione invernale. Tutto il disco si presenta come un omaggio all’inverno e in particolare al periodo natalizio che Loreena tanto ama. Le intenzioni della McKennitt si fanno sempre più palesi: ciò che conta di più per lei è l’atmosfera ed è su questo aspetto che concentra i propri sforzi. Il disco viene registrato, pressoché senza ritocchi in studio, in almeno tre diverse cattedrali, tra il Canada e il Regno Unito, donando alla musica una solennità quasi sacrale. Basterà ascoltare la meditativa Let all that are to mirth inclined per capire cosa intendo. Negli anni successivi, Loreena McKennitt si dedicherà nuovamente e con rinnovata passione alla musica “invernale” e natalizia dapprima con l’EP A winter garden e, in anni recenti, con un nuovo album: A midwinter night’s dream. I canti tradizionali vengono ora interpretati in maniera classica, ora in modo più personale. Interessante ad esempio la malinconica versione di The holly and the ivy. L’esperimento migliore è però la già citata God rest ye merry gentlemen la quale resta, a quanto mi risulta, l’unico tentativo di reinterpretare in chiave arabeggiante (tipica del periodo post 1994 dell’artista) una canzone natalizia cristiana. Il risultato non può che sorprendere.

Parallel dreams (1989) e The visit (1991)

Con Parallel dreams e con The visit, Loreena intraprende la strada che la porterà agli album di inediti e ai capolavori della sua carriera. Le rivisitazioni si riducono a due o tre per ciascun album. Le composizioni della McKennitt aumentano e si affinano pur restando nell’ambito della musica celtica e del folk. Nonostante questi due album non siano di norma annoverati tra i “masterpieces” della cantante canadese, essi contano svariati estimatori. Contengono infatti alcuni dei suoi massimi capolavori come Samain night e The old ways. La vera svolta stilistica è tuttavia ormai alle porte.




(continua)
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