sabato 26 novembre 2011

Squalo è il nuovo singolo dei Litfiba


La band fiorentina capitanata da Piero Pelù, dopo la reunion dello scorso anno, con annesso cd live, torna con un nuovo album di inediti, anticipato da Squalo, il nuovo singolo.


Ad un primo ascolto la canzone sembra avere ben poco appeal, sia musicalmente, non aggiungendo nulla di nuovo a quanto già si conosceva di questa band, ma nemmeno a livello di testo, che anzi appare piuttosto banale, con rime forzate e talvolta poco comprensibili.

Io mangio tutto
lo mangio a poco
e alla fine mangerò anche il vuoto
io mangio mangio perchè ho il coraggio
perchè sono l' opportunista a corto e lungo raggio
lo squalo mangia tutto
consuma chi consuma
la mia fame sacra è un' urgenza
una priorità
Lo squalo sono me

L’album uscirà il 17 Gennaio ed è inutile negare che i molti fan dei Litfiba aspetteranno con ansia questo momento. Il gruppo ha anche annunciato le date di tre grandi anteprime del tour 2012: il 2 marzo a Firenze (Nelson Mandela Forum), il 6 marzo a Milano (Mediolanum Forum), e il 10 marzo a Roma (Palalottomatica). Sarà interessante sentire il resto del cd, proprio perché la band fiorentina ci ha abituato negli anni a standard piuttosto alti, risultando uno dei gruppi che ha fatto la storia del rock italiano,  ed essendo questo il primo disco interamente di inediti dalla loro reunion, la curiosità è molta, anche se questo primo singolo non sembra un gran che.

Mywo

venerdì 25 novembre 2011

Torna Pieraccioni con “Finalmente la felicità”


Leonardo Pieraccioni torna sul grande schermo con il suo decimo film, diretto, interpretato, e scritto come sempre a 4 mani con l’amico Giovanni Veronesi.
Le pellicole dell’attore toscano le conoscete tutti, e anche questa difficilmente si discosterà molto dal canovaccio classico che nel corso degli anni gli ha porto tanto successo ai botteghini.
Questa volta lui interpreta Benedetto, un professore di musica e convinto ecologista, la cui vita tranquilla prende una piega inaspettata quando, una postina di “C’è posta per te”, bussa alla sua porta con la seguente notizia: una bellissima ragazza brasiliana (altro elemento classico dei film pieraccioniani) è arrivata in Italia per conoscerlo, in quanto suo fratello adottivo. Benedetto poi scoprirà che sua madre, da poco deceduta, aveva adottato a distanza questa ragazza che, una volta cresciuta, è desiderosa di conoscerlo.
Nel cast Luna è interpretata dalla modella brasiliana Ariadna Romero, all’esordio sul grande schermo. Rocco Papaleo (Basilicata coast to coast, Cado dalla nubi), sempre presente negli ultimi film di Pieraccioni, interpreta invece Sandrino, un amico del protagonista, mentre Thyago Alves (fresco di Isola dei Famosi) è Jesus, l’ex fidanzato di Luna.
Il film uscirà nelle sale il prossimo 16 dicembre, di seguito vi proponiamo il trailer appena uscito in anteprima per il Corriere della Sera.



Andando a vedere questo film si sa già cosa ci si aspetta, le risate sembrano garantite, il successo anche, però forse Pieraccioni dopo 10 film simili, nei contenuti e nella forma, avrebbe potuto fare qualcosa di diverso!


Mywo

L’amore ai tempi del fascismo ovvero l’anti-femminismo ne Il cuore grande delle ragazze

Campagna italiana anni ’30. Epoca fascista. Carlino Vigetti (Cesare Cremonini) è il genere di uomo che nessun padre vorrebbe come cognato. Semi-analfabeta, l’unica sua passione sono le donne. Le incanta con il suo alito che sa di biancospino, le carica sulla sua bicicletta, le porta tra i cespugli di biancospino dove lui stesso dice di esser stato concepito, e ci fa l’amore. Sisto Osti, avido proprietario terriero, convince Carlino a prendere in sposa una delle due sue figlie, piuttosto bruttine e destinate a rimaner zitelle a vita. In cambio di una moto Guzzi e della concessione delle terre da coltivare come mezzadro per altri dieci anni, Carlino accetta. Per un mese, ogni sera per un’ora esatta, si reca a casa Osti, per conoscere e scegliere quale delle due ragazze prendere in moglie. Ma durante l’ultimo “appuntamento” fa la sua comparsa Francesca (Micaela Ramazzotti), figlia della moglie di Osti, nata da una precedente relazione della donna, arrivata da Roma senza preavviso. E neanche a dirlo, Cupido ci mette lo zampino.
Commedia drammatica? Credo sia meglio dramma comico. Ironia, leggerezza. Tutt’apparenza. Che Carlino Vigetti sia un nuovo Bertrand Morane? Bè, entrambi amano le donne, entrambi convivono con un bisogno fisiologico di sesso che non sanno tenere a freno. Ma è il mondo femminile che fa la differenza. Se nel maestro François Truffaut, come recita il titolo, chi agiva era Lui, L’uomo che amava le donne, in Pupi Avati le protagoniste sono le donne. Anzi, le ragazze. Ragazze che non conoscono altra alternativa al matrimonio, se non consideriamo la strada della prostituzione, e rassegnate all’inevitabilità dell’adulterio coniugale. Truffaut dirige la sua opera negli anni ’70, e parla dell’epoca a lui contemporanea, un’epoca in cui nel cinema non si era ancora nè detto nè visto tutto, facendo del suo film un vero e proprio manifesto del libertinaggio. Con Il cuore grande delle ragazze siamo nel 2011. Ma a ciò che si racconta fa da sfondo l’epoca fascista, ormai passata: il sesso è un tabù, la libertà sessuale non esiste neanche ancora in potenza, concedersi prima del matrimonio per una donna è considerato peccato, si crede in un Dio bigotto.
Dietro una facciata di falso puritanesimo, anche le donne “hanno quelle voglie lì”, come afferma Francesca (Micaela Ramazzotti), e, nel caso siano vergini, sono incuriosite dal sesso, proprio come le due sorelle Osti, che si divertono a fare giochi stupidi con Carletto, chiedendogli chi delle due, secondo lui, ha mai toccato il “pirillino” di un uomo. Eppure, nonostante la tematica sessuale sia sempre lì latente e sia il motore delle azioni di Carlino (“Sarà mica che non mi sposo, io oggi devo assolutamente fare l'amore”), il film mai sconfina nella volgarità. Carlino Vigetti è uno dei tanti, non ha personalità, è lo stereotipo dell’uomo ignorante e rozzo. Bertrand Morane, al contrario, non è un tipo qualunque: conosciamo la sue avventure grazie alla pubblicazione post-mortem del suo diario, che lo consacra a mito. Lui sì che amava le donne.
La voce narratrice di Edo Vigetti è di Alessandro Haber. Musiche di Lucio Dalla.
Un Cesare Cremonini inconsistente e trasparente; una Micaela Ramazzotti convincente, e sempre in ascesa.
Nel complesso, un’opera poco incisiva, e forse un po’ scontata. Pupi Avati avrebbe potuto far di meglio.

Erin

giovedì 24 novembre 2011

Dicembre 2011 al cinema: tutte le novità in sala

Questo dicembre si prospetta molto ricco di nuove uscite cinematografiche interessanti, di ogni genere, italiane e straniere. Abbiamo selezionato per voi i titoli più attesi o più promettenti: non perdeteveli!

Nelle sale da venerdì 2 dicembre
Cominciamo da Midnight in Paris, il 42° film diretto da Woody Allen con cui è stato aperto l'ultimo Festival del Cinema di Cannes. Owen Wilson interpreta Gil, sceneggiatore americano con ambizioni letterarie che, durante una vacanza a Parigi con la fidanzata Inez (Rachel McAdams) e i suoi ingombranti genitori, a mezzanotte viene trasportato per magia indietro di quasi cent'anni. Gil realizza quindi il sogno di esplorare la Parigi degli anni Venti, vivace centro culturale e d'innovazione tecnica e artistica, dove si possono incontrare personaggi del calibro di Picasso e Hemingway. Estasiato da questa esperienza, Gil sparisce ogni notte per ripeterla e suscita la preoccupazione e il sospetto di Inez e futuri suoceri. Sullo sfondo della storia c'è una Parigi meravigliosa, di cui Allen ha voluto immortalare i panorami e gli scorci più affascinanti.
Fabio Volo è il protagonista di Il giorno in più, commedia romantica tratta dal suo romanzo omonimo del 2007 e diretta da Massimo Venier. La vita di Giacomo, giovane adulto di successo sia nel lavoro che con le donne ma un po' annoiato dalla sua vita monotona, cambia per sempre quando incontra sul tram la bella Michela (Isabella Ragonese). Giacomo attacca bottone con Michela e dopo la fase di conoscenza iniziale i due trascorrono una notte di passione, ma lei sta per partire verso il suo nuovo lavoro a New York e lui verso il Sudamerica, e la loro storia sembra già concludersi; ma l'istinto di andare a cercare Michela sarà per lui irresistibile. I fan del Volo scrittore erano da tempo in attesa della trasposizione filmica di uno dei suoi vendutissimi romanzi, e si augurano che Il giorno in più si riveli all'altezza delle aspettative. Dallo stesso giorno usciranno anche Lo schiaccianoci, musical favolistico in 3D; i drammatici Le nevi del Kilimangiaro e Sentirsidire – quello che i genitori non vorrebbero mai; il thriller inglese 1921 – Il mistero di Rookford e la commedia italiana Napoletans.

Da mercoledì 7
Il concerto di Ligabue del 16 luglio a Campovolo (RE), a cui hanno presenziato circa 120.000 fan adoranti, è diventato anche materia cinematografica. Esce infatti Ligabue – Campovolo 2.0 3D, curiosa riproposizione del concerto al cinema con tanto di tecnica tridimensionale e spezzoni di interviste al cantante o riprese dei luoghi a lui più cari... anche qui si tratta di un appuntamento immancabile per i fan. L'altro film in uscita è Almanya – La mia famiglia va in Germania, commedia familiare a cavallo tra passato e presente in Germania e in Turchia.

Da venerdì 9
Uno dei rari horror italiani, Bloodline racconta l'indagine della giornalista Sandra (Francesca Faiella) su una serie di efferati omicidi che ricordano quello di sua sorella, accaduto molti anni prima, per mano del serial killer Il Chirurgo. In più ora le vittime risorgono come mostri assetati di sangue. Gli amanti delle emozioni forti potrebbero apprezzare anche il drammatico francese Enter the Void, ambientato a Tokyo, mentre chi ha voglia di ridere potrà testare la comicità di Cambio vita (The Change-up), in cui un single libertino e un occupatissimo padre di famiglia si scambiano i corpi per magia, o di Mosse vincenti (Win Win), il cui protagonista Paul Giamatti interpreta un avvocato che si cala nei panni di coach per wrestler liceali. Menzione speciale a The Artist, film romantico francese ambientato nella Hollywood del 1927: il film, una storia d'amore tra attori del cinema muto e del nascente cinema sonoro, è esso stesso muto e in bianco e nero, un esperimento che a Cannes è piaciuto moltissimo.

Da venerdì 16
Ecco il weekend in cui si sfideranno i pesi massimi del mese. Sherlock Holmes: Gioco di ombre, seguito del riuscito Sherlock Holmes del 2009, uscirà in contemporanea mondiale puntando a stabilire un nuovo record d'incassi. Tornano l'istrionico Robert Downey Jr. e il fascinoso Jude Law nelle vesti ottocentesche del celeberrimo detective londinese e del suo assistente Watson, stavolta alle prese con i complotti del geniale e malvagio Moriarty (Jared Harris), che si svilupperanno in Francia, Germania, Svizzera e Inghilterra a partire dalla morte sospetta del principe erede al trono d'Austria.
In lizza al botteghino ci sarà anche l'atteso film d'animazione Il gatto con gli stivali, prequel/spin-off di Shrek incentrato sull'accattivante felino spadaccino. La storia, precedente all'incontro con l'orco verde che tutti conosciamo, racconta la promettente impresa criminale dell'agile Gatto, dell'astuto uovo antropomorfo Humpty Dumpty e della seducente Kitty: rubare la fiabesca oca dalle uova d'oro.
Più serioso Le Idi di marzo, thriller politico con George Clooney candidato alla presidenza statunitense e Ryan Gosling, reduce dall'ottimo Drive, che ne è il consulente comunicativo ma ne scopre il lato corrotto. Completano l'offerta le due commedie italiane Finalmente la felicità, di e con Leonardo Pieraccioni, e l'inevitabile cinepanettone Vacanze di Natale a Cortina.

Da venerdì 23
La programmazione del weekend natalizio propone perlopiù film di svago. La commedia rosa Capodanno a New York (New Year's Eve) vede tra i suoi protagonisti molti nomi famosi, tra cui Robert De Niro, Michelle Pfeiffer, Jon Bon Jovi e Hilary Swank, mentre quelli del romantico franco-belga Emotivi anonimi sono pressoché sconosciuti al grande pubblico. I più piccoli (ma non solo!) saranno interessati ai film d'animazione Arthur e la guerra dei due mondi, terzo capitolo della saga fantasy di Luc Besson, e Il figlio di Babbo Natale (Arthur Christmas). L'unico drammatico in uscita, Il principe del deserto (Or noir), è un film d'avventura con Tahar Rahim, Antonio Banderas e Freida Pinto ambientato nell'Arabia Saudita degli anni Trenta, in fase di profondo mutamento economico e sociale per via del boom petrolifero.
Lor

mercoledì 23 novembre 2011

Recensione di Call of Duty: Modern Warfare 3

La serie Call of Duty è arrivata di nuovo nei negozi l’8 novembre, con il terzo capitolo della saga Modern Warfare. Negli anni, il marchio di questa storica serie ha raggiunto vette di popolarità enormi, arrivando a toccare cifre di incasso stupefacenti, di gran lunga superiori anche a quelle dei kolossal di Hollywood. Ma tutto questo successo targato Activision è davvero così meritato?


La campagna single player

Se siete fan della serie, appena inserirete nella console il disco del gioco (o lo avvierete da pc) vi sentirete subito a casa. Vi troverete infatti di fronte al classico menù e alla divisione fra le tre modalità principali apprezzate già nei giochi precedenti, ovvero Campagna principale, Modalità online e Operazioni speciali. La campagna single player riprende esattamente da dove si era interrotto il secondo capitolo e ci metterà nei panni di vari soldati, impegnati in diverse missioni, nel tentativo di scongiurare la Terza Guerra Mondiale. La trama è facile da seguire ed è narrata in maniera impeccabile. Le scene sono spesso cariche di tensione, molto avvincenti, a volte anche un po’ crude ma sempre spettacolari, in puro stile cinematografico. Anche l’azione di gioco è abbastanza varia con fasi di guerriglia che si alternano a fasi stealth o a momenti in cui spareremo da un aereo. Peccato solo che la storia si concluda in 5-6 ore, sicuramente più intense e appassionanti rispetto alla storia dell'acerrimo rivale Battlefield 3, ma comunque sempre troppo breve. Il lavoro svolto dai programmatori per quanto riguarda l’intelligenza artificiale (uno dei punti dolenti del titolo avversario) è semplice ed efficace, senza infamia e senza lode ma, visto lo scarso lavoro della concorrenza, qui siamo a livelli più che accettabili.

Le modalità online

Il multiplayer competitivo online è ormai il piatto forte di gran parte dei giochi, figuriamoci nello sparatutto principe su console. A differenza del suo rivale, Modern Warfare 3 punta sulla fedeltà e su un impianto di gioco ormai solido e affidabile. Le novità però sono assenti ingiustificate (soprattutto se consideriamo il prezzo del gioco): cambiano ovviamente le mappe, c’è qualche piccola modalità “nuova” (per la serie, ma già vista in altri giochi) e qualche novità nella personalizzazione delle varie classi e armi, ma nulla che faccia gridare al miracolo. Insomma, il senso di deja vù sarà costante. Vi sembrerà di trovarvi di fronte a un aggiornamento di Modern Warfare 2, più che a un gioco nuovo vero e proprio. 

La modalità Operazioni speciali

Contro ogni pronostico, la modalità Operazioni speciali è la più divertente e interessante, soprattutto se giocata in co-op con un amico! Si possono scegliere due tipi di operazioni: le “missioni speciali”, dove calarsi in delle vere e proprie missioni collegate alla storia principale, oppure la “modalità sopravvivenza”, in cui affrontare orde sempre più agguerrite di nemici con la possibilità di acquistare armi, granate e aiuti speciali dal cielo. Tutta la modalità è sicuramente riuscita: non aspettatevi chissà quali novità, ma solo divertimento e tante ore di gioco in più!

Grafica e sonoro

Specifico prima di tutto che, come nelle mie precedenti recensioni, ho testato solo la versione PS3 del gioco. Per quanto riguarda il comparto tecnico, si potrebbe dire che Modern Warfare 3 è la morte dell’evoluzione grafica. Il motore grafico è infatti lo stesso ormai da anni, da quando uscì il primo Modern Warfare (nell’ormai lontano 2009) e, se all’epoca lasciava a bocca aperta, ora, considerando anche il livello grafico raggiunto da Battlefield 3, lascia un po’ di amaro in bocca. 
I 60 fotogrammi al secondo sono costanti, ma le texture e alcuni modelli poligonali lasciano davvero a desiderare, per non parlare poi della totale assenza dei danni dinamici all’ambiente circostante. I programmatori hanno cercato di ovviare al problema in modo furbo e strategico, utilizzando determinate inquadrature o alcuni filtri, ma il risultato non cambia: la totale assenza di evoluzione tecnica è il difetto più evidente in una serie in testa alle classifiche di vendita ormai da anni. Il sonoro è di buon livello, con un buon doppiaggio in italiano che non farà strappare i capelli per la gioia ma nemmeno storcere la bocca. Il suono dei colpi esplosi invece è curato, ma non tocca le vette di perfezione raggiunte da Battlefield 3.

Commento finale

Se siete degli “ultras” della saga, questo gioco vi renderà felici ed entusiasti, senza alcun dubbio. Gli altri invece, soprattutto gli amanti degli sparatutto variegati, si sentiranno un po’ presi in giro trovandosi di fronte un espansione dopo aver sborsato la “modica” cifra di 70€.

HBK

Sigarette a colazione #1

Melanconica sveglia. Mi aggiro con passo pesante attraverso i meandri cosparsi di brandelli di cervello zuppi di rimembranze sbilenche. Sono sdraiato; su un letto sfatto da non si sa quanto.
Sto fumando, e vicino a me c'è un posacenere, di quelli brutti e grandi, con le stampe enormi sul loro corpo tozzo di latta. È un cilindro di latta con un cappello di ferro e un congegno per fare girare e abbassare un disco metallico al centro del cappello, in grado – tale disco – di scaraventare la cenere e i mozziconi nell'oblio di un grosso ventre scuro e chiuso di latta stampata.
Apro la finestra – o forse è stato il vento – e me ne sto sempre sdraiato sull'informe letto.
Giro di disco, se ne muore il primo mozzicone e cerco di svegliarmi il corpo con una sequela di stiracchiamenti alternati a posizioni fetali. Melancolica sveglia; una lettera cambia il suono della sveglia: mi fa sentire un'eco più lontana, un nuovo punto di fuga del pensiero.
Accendo un'altro futuro mozzicone, fissando il soffitto, le travi di legno... una nave.
Una nave sveglia in mezzo alla tempesta, scossoni di monsone a strappare le vele e marinai urlanti coi loro demoni affianco. E capisco immediatamente che sarebbe facile, troppo facile farsi trasportare, salire su quella nave e finire prigioniero ai Caraibi, per poi imbastire un carico di pirati hippy e partire verso una terra promessa; o un naufragio lisergico. Troppo facile volarsene sempre via. E quindi me ne devo stare qui, su queste lenzuola bucherellate dalla noia, dentro questa finestra penetrata da fasci di sole freddo; con addosso una pesantezza aliena e alienante: una ricetta impossibile scritta sulla mano, che ogni giorno cambia ingrediente.
E la sentirete chiamare felicità, equilibrio, fede, passione: ha mille nomi. E forse un nome non ce l'ha. È la stessa dentro ogni persona che abbia conosciuto, eppure non coincide mai. È qualcosa, è quello che non c'è. Ma esiste! Possa qualcuno dimostrarmi il contrario, tornerei subito a dormire senza ammorbare i lettori con le testimonianze di una ricerca vana!
Giro di disco, uccido il secondo mozzicone e lo occulto nel mattatoio di latta.
M'infervoro e guadagno centimetri di verticalità, sul letto, piegando in due il cuscino e mettendomi quasi seduto. La finestra si è abbassata rispetto al mio orizzonte e vedo un profilo gentile dentro una delle finestre di fronte. Cosce tornite e umide si piegano al volere di mani sottili che reggono accappatoi di seta troppo corti per nascondere...
Sbuffo di fumo e smetto di guardare: troppo facile rifugiarsi nella lussuria. Sarebbe troppo facile farmi abbracciare da una donna con addosso le forme del desiderio, senza un volto che non sia quello di una dea innamorata. Niente da fare! Me ne devo stare qui, su questo letto a cercare la comunemente detta 'Felicità'! Uno, prima di svegliarsi, ha ben il diritto di sapere perché lo fa! M'infervoro ancora un po', e adesso sono quasi seduto e ho più forza per ammazzare la terza vittima di tabacco, schiantandola sulla lamiera rotante.
Sono sveglio di melanconica sveglia, e devo farmi una ragione di quest'essere sveglio. Vagando con lo sguardo noto svariati volumi in ordine sparso, di molti tra questi non riesco nemmeno a leggere il titolo. Uno mi seduce sussurrando 'Se una notte d'Inverno un viaggiatore'. Già mi sento annegare dentro un turbinìo di lettere, un guazzabuglio di colori e immagini più o meno sfocate ma vibranti. Però, d'altra parte, eh... sarebbe fatica da nulla, un giochetto farsi travolgere dalle storie, lasciarsi coinvolgere dagli scritti e mandare a farsi benedire la felicità e tutto il resto. Senza accorgermene ho acceso una sigaretta che sta già per trapassare nell'Ade di cenere e latta. Ho incrociato le gambe e assunto una posizione più eretta ancora, un osservatore esterno direbbe di me che sembro "in procinto di alzarmi": solo queste parole potrebbe usare l'osservatore, e dico anche se fosse un osservatore straniero. Sono deciso a darmi uno scopo, un traguardo, il traguardo più a lungo termine che riesca a trovarmi. Dopo lunghi dibattiti intestini alla corteccia cerebrale - con tanto di insuti tra fazioni opposte e improperi circolati internamente alle stesse correnti - giungo a una soddisfacente conclusione, riesco a darmi l'obbiettivo – di certo ridotto ai termini della contingenza – che sempre un obbiettivo è.  Giro di disco, e l'ultimo mozzicone è preda della dimenticanza.
Mi autoannuncio solennemente la decisione, e addirittura celebro l'atto, ecco, la performanza immediata!
...mi alzo.

Nino

venerdì 18 novembre 2011

L’Italvolley è campione del mondo!


L’impresa è di quelle da ricordare, e non solo perché ripetersi è sempre più difficile. L’italia è riuscita a bissare la vittoria dell’ultimo mondiale, nel 2007, disputando una grandissima World Cup, giocata tutta in crescendo, andando oltre i problemi e le difficoltà mostrate ai recenti europei.
Ma andiamo con ordine, partendo proprio dal mancato podio (quarto posto) agli europei di Italia/Serbia, giocati lo scorso mese. Le ragazze del ct Barbolini, arrivando quarte non solo non hanno centrato uno dei tre posti in palio per le Olipiadi di Londra 2012, ma hanno anche messo a rischio la partecipazione alla Wolrd Cup.
Ripescate (giustamente) grazie ad una Wild Card, si sono presentate al mondiale cariche, vogliose di dimostrare che il ciclo non era finito ma soprattutto decise a difendere il titolo vinto 4 anni prima con le unghie e con i denti. I però problemi sono sorti da subito, con l’infortunio dell’unico opposta di ruolo, Serena Ortolani, pochi giorni prima del via, ma questo non ha fermato le azzurre. Il cammino è stato (quasi) perfetto, con dieci vittorie su undici partite disputate. L’unica sconfitta stava per esserci fatale, ma le giapponesi sono riuscite, con una grandissima ultima gara (3-0 contro gli USA), a riportare l’Italia prima in solitaria.
La World Cup è appunto una manifestazione che si svolge con cadenza quadriennale, alla quale partecipano 12 squadre: il Giappone in quanto nazione ospitante (il torneo si svolge sempre lì), le prime 2 classificate dei tornei continentali, la vincitrice del torneo continentale africano più due Wild Card. La competizione è organizzata in un girone unico all’italiana, in cui tutte le squadre si sfidano con i palio in 3 punti, anche se le modalità di assegnazione sono particolari: 3 punti per la vittoria 3-0 e 3-1, due punti con vittoria al tie-break 3-2 e un punto se si viene sconfitti 2-3.
La classifica finale recita: Italia 28 p.; Stati Uniti e Cina 26; Giappone 24; Brasile 21; Germania 20; Serbia 18; Rep.Domenicana 12; Corea del Sud 11; Argentina 9; Algeria 3; Kenya 0.
Le artefici di questa grande impresa sono molteplici: Carolina Costagrande è stata insignita del titolo MVP del torneo, fondamentali sono state anche il capitano Eleonora Lo Bianco che, nel corso del torneo, ha sfondato il record di presenze di azzurro, e poi ancora le “anziane” Simona Gioli, Valentina Arrighetti al e Antonella Del Core; il libero Paola Croce, al rientro dopo l’infortunio e anche Lucia Bosetti, schierata per tutta la competizione nel ruolo di opposto, per sopperire alla mancanza della Ortolani, nonostante non fosse quello il suo ruolo.
Il merito va anche al ct Barbolini, che è riuscito a centrare il suo secondo mondiale consecutivo, nonché il pass per le Olimpiadi di Londra 2012, alle quali l’Italia si presenterà come una delle favorite.

Mywo

I Radiohead tornano in Italia: Roma, Firenze, Bologna e Udine


Dopo i numerosi rumors riguardanti un loro possibile ritorno sui palchi europei, i Radiohead tirano fuori dal loro sito cinque nuove date per il loro nuovo tour, tra le quali spiccano ben quattro località italiane:
  • 30 Giugno Ippodromo Capanelle Roma (Rock in Roma)
  • 1 Luglio Parco Delle Cascine Firenze
  • 3 Luglio Piazza Maggiore Bologna
  • 4 Luglio Villa Manin Codroipo (Udine)
  • 6 Luglio Wuhlheide Berlino
Questa mattina i fan si sono scatenati  con la compravendita online, infatti Roma, Firenze e Bologna sono andate sold out in poche ore. L'unica data ancora disponibile è quella di Codroipo, e molti fan ne hanno gridato l'anagramma.
Ulteriori informazioni sul tour si possono trovare sul loro sito ufficiale.
Nel frattempo la band ha annunciato che nel periodo tra il tour americano e quello europeo torneranno negli studi per registrare qualche brano: nuovo album in arrivo nel 2012? Intanto ricordiamo che l’ultimo progetto, The King of Limbs, è uscito neanche un anno fa (online il 18 febbraio, su cd e vinile il 28 marzo) e che da poco il gruppo ha aperto le prevendite per l’acquisto del loro ultimo live, From the Basement, disponibile in Blu-Ray e DVD dal gennaio 2012 (o da prima di Natale per chi ha già effettuato il preordine). Il live contiene due tracce non presenti in TKoLStaircase e The Daily Mail, insieme alla bonus track Supercollider.


Quindi il tour europeo dei Radiohead inizierà dall’Italia. Perché? “Per ragioni estetiche” dicono loro.
Lares

mercoledì 16 novembre 2011

This must be the place, ovvero alla ricerca di se stessi


This must be the place è l’ultimo film di Paolo Sorrentino, presentato in concorso al Festival di Cannes: applausi in sala a fine proiezione. Entusiasmo che, francamente, mi lascia un po’ perplessa. Film della svolta per il regista? Io direi piuttosto film che non riesce davvero a concretizzarsi, che (rap)presenta sullo schermo una serie di personaggi, di tematiche, senza che questi e queste vengano davvero sviscerate a fondo.
Cheyenne/Sean Penn, ex rockstar anni ’80 sulla cinquantina, vive a Dublino con la moglie Jane. E' in profonda crisi. Nonostante la fama, il palcoscenico e i concerti siano ormai solo più un ricordo, continua a truccarsi come allora, (s)pettinarsi come allora, vestire come allora. Un viaggio in America, in occasione del funerale del padre con cui non ha più contatti da circa trent’anni, sarà l’occasione per crescere. Perché Cheyenne, il cui nome vero è John Smith, è un bambino. La sua non è una vera forma di depressione; semplicemente, non è mai cresciuto. La moglie, che ama e che lo ama, si prende cura di lui come farebbe una madre con il proprio figlio; quando al supermercato viene deriso da due adolescenti a causa del look anticonvenzionale, buca loro il cartoccio del latte; non vuole prendere l’aereo perché ne ha paura. Affetto dalla sindrome di Peter Pan, Cheyenne nasconde gli anni che passano sotto strati di cerone, un tratto di matita nera e rossetto rosso scarlatto. Eppure, giocare a fare l’eterno bambino gli serve a ben poco; carrellino della spesa o trolley, si porta dietro un fardello, forse pieno di ricordi passati e di questioni irrisolte, prima fra tutte il non rapporto con il padre, tema ormai divenuto cliché nelle pellicole che incorniciano la società americana. Ed è proprio un bambino incontrato lungo il suo cammino, a cantargli This must be the place, canzone del gruppo statunitense Talking Heads, formatosi negli anni ’70, il cui frontman David Byrne appare in un cameo e cura le musiche del film: "Never for money / always for love", che forse Cheyenne ha dimenticato per troppo tempo, rinchiudendosi nella sua lussuosa villa, circondato da agi totalmente accessori (la scritta "Cuisine" che indica in quale stanza ci si trova), ma dove finisce per giocare a palla con la moglie in una piscina vuota.



Sean Penn è strepitoso. Sarebbe potuto scadere nella caricatura della rockstar anni ’80, e invece ha divinamente interpretato la caricatura di quel preciso Cheyenne anni ’80. Parodia di quello che era: se chiudiamo gli occhi, ce lo immaginiamo su un palco, con una chitarra, che canta e si scatena, senza che nelle quasi due ore di film si faccia praticamente mai accenno a questo (un grazie sentito a Sorrentino per averci risparmiato banali flash-backs dei tempi che furono, scelta che, considerando il calibro del regista, non fa stupire).
Tanti temi, forse troppi. L’olocausto, la difficoltà di comunicazione tra padre e figlio, la depressione di una madre continua ad aspettare il ritorno di un figlio che mai tornerà, l’ebraismo, il suicidio nel mondo giovanile. Un calderone da cui è davvero difficile trarre le fila.
Viaggio nel tempo, "Hi yo I got plenty of time [...] / I love the passing of time", e viaggio nello spazio, "I come home, she lifted up her wings / guess that this must be the place". Viaggio quindi multidirezionale, centripeto (Cheyenne alla ricerca di se stesso) e centrifugo, a livello spaziale e temporale. L’inutile ma spontanea domanda che da spettatori ci poniamo è quanto questo film sia autobiografico, e a che livello dietro la figura di Cheyenne si celi quella di Sorrentino. Risposta: non lo sapremo mai. Mai conosceremo le reali intenzioni dell’autore, e meno male. Almeno la libertà di interpretazione è ancora nelle nostre mani.

Erin

Mirror Mirror vs Snow White & the Huntsman: più biancaneve per tutti

Amanti di Biancaneve avete di che rallegrarvi, Hollywood ha pensato a voi! Nel corso del 2012 usciranno ben due film che avranno come ambientazione di fondo la celebre fiaba dei fratelli Grimm.
Le due pellicole in questione sono Mirror mirror e Snow White and the Huntsman (Biancaneve e il cacciatore). La prima ripercorre la fiaba in chiave del tutto comico-avventurosa, mentre la seconda è una rivisitazione più seriosa e fantasy, primo episodio di una trilogia.
Mirror mirror sarà diretto da Tarsem Singh (The Fall, Immortals) e, come detto, avrà i toni della commedia, con Julia Roberts nei panni della perfida (ma in questo caso anche molto ironica) Regina Grimilde, la giovane Lily Collins (The blind side, Abduction) nei panni di Biancaneve e poi ancora il principe azzurro Armie Hammer (The social network), Sean Bean (Il signore degli anelli, Troy) e Nathan Lane (La famiglia Addams 2, Un topolino sotto sfratto). Il film uscirà negli States il 16 Marzo.


Snow White and the Huntsman sarà invece la prima parte di una trilogia, che a partire dal 1 Giugno 2012 (in contemporanea con gli Stati Uniti) ci narrerà la storia di Biancaneve in una chiave più oscura e forse meno fedele, con molti duelli senza esclusione di colpi. La pellicola racconterà l'incontro tra il Cacciatore, assoldato da Grimilde per uccidere Biancaneve, e la sua "preda", a cui invece insegnerà a sopravvivere e combattere per ciò che le spetta. Alla regia troviamo Rupert Sanders, all’esordio sul grande schermo, mentre il cast di attori è assolutamente di livello, con Charlize Theron (Hancock, The Road) a interpretare una cattivissima e spietata Regina Grimilde, Kristen Stewart (la Bella della saga di Twilight) nei panni di una temeraria Biancaneve, e Chris Hemsworth (Thor, The Avengers) al quale è affidato il ruolo di un Cacciatore dalle movenze simili al dio nordico interpretato nel colossal Marvel e che avrà un ruolo molto meno marginale rispetto al cartone animato Disney, a discapito dei sette nani.

Più che una sfida tra "Biancanevi" ci sembra proprio una sfida tra Regine Premi Oscar Roberts-Theron. Chi conserverà lo scettro?

Mywo

martedì 15 novembre 2011

Fiorello torna in RAI: #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend

Fiorello torna in RAI dopo quasi quattro anni di assenza; l’ultima esperienza televisiva sul servizio pubblico è stata con il fedele compare Marco Baldini per il breve varietà Viva Radio 2…minuti, mentre nel 2009 ha portato il suo Fiorello Show su Sky Uno.
Enormi investimenti e grandissimi ospiti corrispondono ovviamente a grandi aspettative; e come spesso accade, il rischio di deludere o di non soddisfare a pieno è alto. Tantissimi i commenti sul web alla prima puntata di #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend in onda ieri sera su RAI Uno, tutti concordi nel premettere che parlare male di Fiorello è molto difficile, perché il suo talento, la sua leggerezza e la sua simpatia sono sotto gli occhi di tutti. Mi aggrego anch’io a questo coro perché effettivamente lo show è divertente e Fiorello tiene la scena come nessuno in Italia. Il mattatore siciliano ha virtualmente il ruolo di salvatore della televisione italiana, ambasciatore di qualità e ascolti genuini; non a caso sulla rete rivale, Canale 5, è in onda nella stessa serata il nemico giurato della cultura in tv, il Grande Fratello, sconfitto amaramente 39,18% (share medio) a 16,45%.
Ma veniamo al programma: Fiorello entra nello Studio 5 di Cinecittà, dove è presente un’orchestra di 50 elementi diretta dal solito Enrico Cremonesi, acclamato dal numeroso pubblico in sala ed esordisce con un geniale “Arrivederci a lunedì prossimo!” a cui segue un “Allegria!” in ricordo dell’amico Mike Bongiorno. Neanche il tempo di iniziare ed escono fuori “le più grandi dimissioni durante il weekend” di Berlusconi con annesse battute sul sindaco di Torino, Fassino, che per festeggiare ha cenato, o sulle lacrime della Santanchè, passata dalla plastica all’umido in men che non si dica. Per tutta la serata Fiorello improvvisa e duetta con gli ospiti illustri seduti nelle prime file dello studio come Michelle Hunziker (traduttrice durante il messaggio alla Merkel), il calciatore della Roma Marco Borriello, l’attore Alessio Boni e il direttore di RAI Uno Mauro Mazza, con cui si sprecano le frecciatine politiche, in ricordo del fu Fabrizio Del Noce. Il resto dello show si divide tra momenti musicali, come il mash-up tra Tu vuo' fa' l'americano e Englishman (per l’occasione Sicilian) in New York e i duetti con Giorgia (ospite fissa del programma) e Giuliano Sangiorgi, imitazioni e monologhi, con il supporto di Marco Baldini (vedi Carla Bruni o la parodia di X-Factor), e i grandi ospiti che per la prima puntata sono stati il tennista n°1 al mondo Novak Djokovic e i Negramaro che hanno eseguito, vergognosamente in playback, il loro ultimo singolo Io non lascio traccia. Si conclude con la sigla di chiusura di Giorgia in stile varietà anni ’60, rigorosamente in bianco e nero, sulle note di Se telefonando.


Gli ingredienti per fare un grande spettacolo c’erano tutti ma, in generale, al programma manca qualcosa: forse un fil rouge che colleghi un minimo i vari blocchi dando una ragione d'esistere al programma, forse un po’ di quella verve che ha reso grande Fiorello. O forse viene dato troppo spazio all’improvvisazione e quindi si ripone troppa fiducia alla forza del conduttore: una scelta che oggi può andare bene se ospiti e showman sono in grande spolvero, ma magari domani non basta a reggere una prima serata su RAI Uno. O ancora, semplicemente, l’anima della serata era un po’ sottotono. Non intendo bocciare #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend, anche perché i momenti divertenti e interessanti non sono mancati, ma piuttosto “rimandarlo a settembre”, vale a dire al prossimo lunedì, per vedere se con altri ospiti, altri temi e altre esibizioni, il programma può prendere il volo verso l’Olimpo dei varietà televisivi. Attesi, tra gli altri, Jovanotti, Coldplay, Tony Bennett, Michael Bublé, Elisa, Caparezza, Laura Pausini e un altro grande, Roberto Benigni.
D9P

La Terra e Melancholia nella danza della morte di Lars von Trier

Melancholia. Ultimo film firmato Lars von Trier. Che dire? Un capolavoro di perfetta coesione tra forma e contenuto, dove nulla è lasciato al caso, e dove ogni singolo dettaglio, apparentemente privo di importanza, ritrova una sua collocazione in una concezione più ampia.
Ma partiamo dal titolo. Il pianeta Melancholia minaccia la Terra, ovvero la melancolia o malinconia, che già era apparsa nell’antica teoria umorale del medico greco Ippocrate, minaccia gli uomini. Il tema, di per sé, sarebbe piuttosto banale, ma Lars von Trier porta avanti la regia in modo non convenzionale. Lo spettatore di Melancholia è avvertito fin dall’inizio: sa esattamente come finirà il film. Non ci sarà il lieto fine: una sequenza di immagini onirico-surrealiste aprono la pellicola (ottima la fotografia), rappresentanti l’inevitabile fine della vita sulla Terra. Come sottofondo, Tristano e Isotta di Wagner (anche se forse quei dieci minuti sono troppi), capolavoro dell’ottocento romantico, momento in cui l’uomo si confronta con la grandezza e la forza devastatrice della Natura.
Più che una Madre Natura, una Natura Matrigna, come direbbe Leopardi, che in effetti "Madre è di parto e di voler matrigna", che inganna gli uomini con una finta tregua (la collisione tra Terra e Melancholia sembrerebbe essere scampata) e spezza le illusioni del bambino che, ingenuamente, crede che si salveranno. Eppure, sebbene Natura crudele, Justine/Kirsten Dunst, completamente nuda, le offre la sua pelle nivea , il cui candore viene esaltato dalla luce azzurrina (tratto ormai caratteristico del regista) di Melancholia, in una sorta di accoppiamento primigenio. La donna ci appare come una nuova Eva, e ora non ci sembra neanche più tanto strano che il marito le abbia regalato un terreno su cui piantare alberi di mele.
La donna continua quindi ad essere causa di profondo turbamento per il regista danese. Justine è l’unica a sapere che i fagioli nella bottiglia sono 678, e non perché li abbia contati, ma perché lo sa e basta. La donna rimane quindi un essere superiore, che “stupra” metaforicamente e fisicamente l’uomo (il tradimento che la novella sposa commetterà con il novello compagno di lavoro non può che essere definito così), facendone un burattino senza volontà. Lo sposo vorrebbe consumare la sua prima notte di nozze, ma la sposa non glielo permette, atti mancati che non fanno altro che accrescere la sua frustrazione.
L’opera è perfettamente simmetrica. Due capitoli, ciascuno dedicato a una sorella e al rispettivo senso claustrofobico: quello di Justine determinato da una profonda crisi interiore; quello di Claire/Charlotte Gainsbourg, dettato delle convenzioni e dalla ricchezza materiale che la circonda. Una esplode, l’altra implode. Le due sorelle sono complementari, una bionda e algida, l’altra mora e androgina. Ma le parti si invertiranno. In principio la crisi depressiva (o meglio, melancolica) di Justine è causata da una profonda intolleranza verso la vacuità delle ostentazioni sociali; il bel vestito bianco viene portato quasi come un fardello: si impiglia e si strappa, viene tolto e lasciato su una sedia durante un bagno “purificatorio” che precede il taglio della torta, viene alzato quando la sposa si accuccia sul prato e, con il volto rivolto al cielo (o verso Melancholia), urina ed espelle ciò che di nocivo ha accumulato nel suo corpo. Le convenzioni che destabilizzano Justine sono invece il punto di appiglio per Claire, che ha una bella casa, un bel marito, un bel figlio, una bella macchina, servitù a sua disposizione, e tanto denaro. E quando si rende conto che per la Terra non c’è più alcuna speranza, entra in una profonda crisi (melancolica), trova aiuto nella sorella (la quale a sua volta è guarita), e afferma di voler affrontare la fine nel miglior modo possibile, magari sorseggiando un buon bicchiere di vino sulla terrazza della sua bella villa e ascoltando l’Inno alla Gioia. Così come ha programmato nei minimi dettagli il matrimonio della sorella, vorrebbe programmare la propria morte. Ma Justine le ricorda che non c’è speranza, che la vita sulla Terra è cattiva, che siamo soli. Lars von Trier ci è riuscito. Ci ha teso un tranello, e noi ci siamo cascati. Quello che dovrebbe venir scongiurato, viene invece desiderato con ansia da noi spettatori. Ecco che la fine si converte in qualcosa di postivo, di liberatorio.
L’uomo nulla può contro la Natura. E’ incapace di controllarla, e a poco sono valse le teorie scientifiche del marito di Claire, che passa le sue giornate osservando il cielo e l’avvicinamento progressivo di Melancholia. Il cavallo nero che proprio non vuol saperne di attraversare il ponte, il polpettone che sa di cenere, Davide e Golia di Caravaggio, I cacciatori nella neve di Bruegel il Vecchio, l’immagine di Justine che vestita da sposa, con un mazzo di fiori in mano, scivola lungo il fiume, e che rimanda immediatamente a La morte di Ofelia di Millais, il marito di Claire che, dopo essersi accorto che la moglie ha comprato delle pillole, le chiede quasi ironicamente se è sua intenzione ucciderli tutti. Segni premonitori di un destino ineluttabile.
Teniamo presente che il film precedente di Lars von Trier è Antichrist, titolo chiaramente nietzscheano. L’unica maniera per migliorare questa società marcia in cui ci troviamo a vivere, è ricostruirla da zero, distruggendola e azzerandone i valori. Melancholia non è un film fantascientifico. E’ la rappresentazione dei mali della società, è il suo disgregarsi. E in ogni caso, le classificazioni, portano forse a qualcosa?
Ecco i primi 8 minuti del film:

Erin

lunedì 14 novembre 2011

Recensione di Uncharted 3: L'inganno di Drake

Nel lontano 2007 arrivò nei negozi il primo capitolo della serie Uncharted, e fu subito un grande successo. Dopo quattro anni e un secondo capitolo, il 2 novembre è uscito nei negozi il terzo e ultimo (per ora) episodio delle avventure di Nathan Drake, sempre esclusiva della PlayStation 3. Sarà riuscita la Naughty Dog a sfornare la terza pietra miliare di fila oppure la serie comincia a sentire il peso degli anni? Scopriamolo insieme!

La storia

La trama vede come al solito protagonista il nostro eroe, Nathan Drake, affiancato come sempre dal suo mentore Victor Sullivan. Non mancano, ovviamente, le ormai classiche presenze femminili di Elena Fisher e Chloe Frazer. Non starò a rivelarvi troppo della trama per non rovinarvi le sorprese che i ragazzi di Santa Monica hanno messo nel gioco. Vi basterà sapere che questa volta Drake sarà più coinvolto che in passato: infatti sembra che il suo antenato, Sir Francis Drake, abbia scoperto, in uno dei suoi viaggi, la maestosa città di Iram dei pilastri, battezzata dai ricercatori come “l’Atlantide del deserto”. Ma, per riuscire a trovarla, Drake dovrà difendere l’antico anello che porta sempre al collo e che sembra essere la chiave per trovare le coordinate del luogo misterioso. Proprio l’anello è finito nelle mire della cattiva di turno: Catherine Marlowe. La donna, a capo di una setta segreta nata circa 400 anni fa, cercherà di prendere l’anello di Nate a qualsiasi costo. Come potete ben capire, anche in questo capitolo, la trama del gioco è tutta incentrata tra mito e storia, tra leggenda e realtà, con un susseguirsi interminabile di emozioni, sorprese, colpi di scena ma soprattutto tanta, tanta azione! Partiremo da Londra, per poi essere portati in Siria, in Francia e infine nell’interminabile deserto del Rub’ al Khali. Definire Nathan Drake il nuovo Indiana Jones è quanto mai corretto! Uncharted 3 può a ben diritto essere considerato uno dei più riusciti punti d’incontro tra il cinema e videogiochi grazie alla sua fantastica regia.

Il gameplay

Come nei capitoli precedenti, il gioco si snoda attraverso tre fasi: sparatorie, arrampicate ed enigmi. Sicuramente sono aumentate le sparatorie (a volte vi sentirete un po’ John Rambo) ma anche gli enigmi sono aumentati, anche se restano oggettivamente pochi. Proprio questa svolta marcatamente action vi porterà a non avere un attimo di respiro: spesso dopo una sparatoria interminabile avrete giusto il tempo di ricaricare le armi per poi rituffarvi a testa bassa contro i nemici. Il gioco è sicuramente per cuori forti: correre, sparare, arrampicarsi, sparare e ancora sparare! Il gioco non è sicuramente adatto per chi ama perdersi a guardare le ambientazioni (fantastiche tra l’altro) o i dettagli, perché anche a livello “normale” i nemici sono tanti e molto ostici. 


Altra menzione particolare va fatta ai combattimenti corpo a corpo, a mani nude se preferite: oltre all’introduzione di nuove animazioni (davvero ben fatte), è stata inserita la possibilità di attaccare i nemici piombando loro addosso dall’alto; ciò aggiunge un pizzico di tatticismo in più durante le fasi stealth. Il primo combattimento che farete all’inizio del gioco, nel pub di Londra, è qualcosa di indescrivibile per divertimento e spettacolarità. Durante le fasi platform invece, dove Nate sfoggerà le sue solite abilità di arrampica muri degne di Spiderman, potrete notare bene l’accuratezza e la classe con cui Naughty Dog ha creato le ambientazioni: resterete semplicemente a bocca aperta nell’osservare lo Chateau di Francia o la cittadella Siriana.

Modalità online e co-op

Entrambe le modalità sono cambiate poco. Gli sviluppatori hanno creato una modalità online davvero divertente ma con poche novità rispetto al capitolo precedente. L’unica degna di essere menzionata è la possibilità di creare un proprio personaggio, vestendolo e armandolo come meglio crediamo. Ovviamente, più punti guadagnerete, più salirete di livello e più oggetti sbloccherete. Per quanto riguarda la modalità co-op, che può essere affrontata sia online che offline con schermo condiviso (davvero fastidioso il modo in cui è stato diviso lo schermo), avrete la possibilità di scegliere due modalità di gioco: “arena cooperativa”, dove dovremo cercare di sopravvivere il più a lungo possibile alle varie ondate dei nemici, e “avventura cooperativa”, in cui invece entreremo a far parte di una mini-avventura divisa in capitoli. Entrambe le modalità sono divertenti anche se il livello grafico, rispetto alla storia principale, è davvero scadente. Per non parlare poi della narrazione in sé, davvero “particolare” (vi ritroverete ad affrontare, per esempio, Lazarevic, il cattivone del secondo capitolo). Ma tutti quanti sapete bene che il vero cuore del gioco è la storia principale e che, alla fine dei conti, le modalità online e co-op sono un buon modo per prolungare la magia del mondo di Nathan Drake.



Grafica e sonoro

Abbiamo già detto delle meraviglie grafiche che la Naugthy Dog è riuscita a creare. Ambienti sempre al contempo magici e reali, realizzati con una cura maniacale. Per non parlare poi delle meraviglie del level design: niente è lasciato al caso. Ciò si nota soprattutto nel livello della nave che affonda: tutto è al giusto posto, l’effetto generato da una nave sottosopra è reso alla perfezione, gli effetti di luce e acqua raggiungono vette davvero impareggiabili. L’unica nota negativa è nelle telecamere, alcune volte un po’ difficili da gestire ma nel capolavoro generale forse neanche ve ne accorgerete. Menzione d’onore anche per le movenze dei personaggi, in particolare quelle di Drake che sono logicamente quelle più curate. Ottimo anche il doppiaggio dei personaggi, epica come sempre la colonna sonora. Insomma, Uncharted 3 soddisferà pienamente tutti i vostri cinque sensi (sì, ho anche tastato e assaggiato il disco del gioco)!

Commento finale

Senza tanti giri di parole, Uncharted 3 (ma tutta la serie in generale) è il motivo per cui andrebbe acquistata una PlayStation 3. Un gioco senza dubbio candidato a essere il gioco dell’anno, almeno per quanto riguarda casa Sony. Speriamo che la serie duri a lungo e che la Naugthy Dog ci regali in futuro un'altra avventura targata Nathan Drake. Lunga vita a Uncharted!



HBK

Michael Bublè ci riprova con Christmas

Pandori e panettoni hanno già invaso i supermercati, così come gli addobbi e le luci di Natale hanno preso il loro posto in centri commerciali e strade. E tutto ciò già da fine ottobre. Sulla scia di questo Natale che arriva sempre prima, spuntano i primi dischi natalizi: il 25 ottobre è uscito in tutto il mondo il nuovo album di Michael Bublé dal titolo molto didascalico, Christmas. Il crooner italo-canadese torna sui suoi passi dopo l’EP del 2004 Let it snow, con un altro disco di cover, in un periodo però inspiegabile visto che tra ottobre e novembre, pochissime radio si sognerebbero mai di passare un classico natalizio. In questo modo infatti il primo estratto, All I want for Christmas is you, in originale di Mariah Carey, è passato in silenzio e ci troviamo ora, già di fronte a un secondo singolo. “It’s beginning to look a lot like Christmas” recita la traccia numero uno; “con calma” aggiungerei io.
Detto delle strane decisioni discografiche e commerciali, passiamo alla musica. Il brano scelto per aprire la strada all’album è All I want this Christmas is you: possiamo quasi parlare non tanto di una cover ma di una versione rivista e rivisitata, che acquista con Bublé una nuova veste e una nuova dignità. Via la magia e l’atmosfera natalizia, via la spensieratezza della versione originale, e benvenuto a una dolce canzone d’amore che si allinea con alcuni vecchi successi come Home e Lost, se non fosse per il testo che cita Santa Claus e il misteltoe (vischio). Sicuramente il pezzo più studiato e riuscito del disco.



I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
All I want for Christmas is you.

Il discorso fatto per questo primo singolo si ritrova anche in altre canzoni, in cui si è voluto avvicinare le canzoni più allo swing di Bublè che alle sonorità tradizionali del Natale; ammetto che il confine tra le due cose sia molto sottile ma la prima impressione è stata questa. Altri esempi di quanto detto possono essere White Christmas (in duetto con Shania Twain), completamente ed efficacemente reinventata, o il brano natalizio per antonomasia, Jingle bells, che, grazie alla collaborazione delle Puppini Sisters, trio musicale londinese di canto a cappella, si discosta dal Natale per entrare nello stile anni ‘40 del Trio Lescano senza però rinunciare alle campanelle.
Non possono poi ovviamente mancare i grandi classici come Santa Claus is coming to town e Silent night ma anche il canto Ave Maria e la spagnola Feliz Navidad, cover di Josè Feliciano, incisa con Thalia, cantante e attrice messicana, e tante altre.
Per concludere merita un accenno l’unico inedito contenuto in Christmas, scelto anche come secondo singolo (in rotazione da venerdì 11 novembre), Cold December night, brano musicalmente poco natalizio (se non per le campanelle che compaiono ogni tanto) ma con un testo semplice che mischia tutte le parole chiave del Natale.

So please just fall in love with me this Christmas
There's nothing else that I would need this Christmas
Won't be wrapped under the tree
I want something that lasts forever
So kiss me on this cold December night.

 Ecco la tracklist di Christmas:

1. It’s beginning to look a lot like Christmas
2. Santa Claus is coming to town
3. Jingle bells (feat The Puppini Sisters)
4. White Christmas (feat Shania Twain)
5. All I want for Christmas is you
6. Have a holly jolly Christmas
7. Santa Buddy (Santa baby)
8. Have yourself a Merry little Christmas
9. Christmas (baby please come home)
10. Silent night
11. Blue Christmas
12. Cold December night
13. I’ll be home for Christmas
14. Ave Maria
15. Mis deseos/Feliz Navidad (feat Thalia)
Bonus track: 16. Winter Wonderland
17. Frosty the Snowman
18. Silver bells (feat Naturally 7)


Che vi piaccia o no il Natale sta arrivando e la musica è la prima ad annusarne i profitti e a cogliere l’attimo. Se infatti non amate lo stile vecchio e sorpassato di Michael Bublé, sono certo che potrete apprezzare l’album (il sesto in due anni) natalizio del giovanissimo Justin Bieber, Under the misteltoe, pietra miliare del Natale 2011. Chiedetelo a Babbo Natale! Auguri!!

D9P

domenica 13 novembre 2011

Mylo Xyloto: il nuovo album dei Coldplay, presentato a Madrid



24 ottobre 2011, data di uscita dell'ultimo album dei coldplay: Mylo Xyloto.
L'opera è stata preceduta dai due singoli Every teardrop is a waterfall e Paradise che hanno riscontrato un grande successo in tutto il mondo. Come se non bastasse, i Coldplay, prima dell'uscita, hanno pubblicato nel loro sito internet e su facebook spezzoni musicali delle canzoni, immagini relative la copertina, parti delle liriche e titoli dei brani per mantenere alto l'interesse dietro il loro nuovo lavoro. Fan, critici, discreditori ed il pubblico in generale, sono rimasti colpiti dall'estrosità del progetto e sin dai primi rumors non sono mancate recensioni, adorazioni e malelingue. In primis il titolo: Mylo Xyloto. Ma cosa vuol dire?Secondo i Coldplay non vuol dire assolutamente nulla, hanno deciso di inventare due nuove parole per dare all'album e alla band una ventata di rinnovamento. In realtà a Chris Martin è sfuggita l'idea che Mylo e Xyloto siano un ragazzo ed una ragazza, probabilmente fidanzati o in relazione tra di loro. Per confermare questa tesi basta guardare la scaletta dei brani, dove si parte con la presentazione dei personaggi (Paradise), una fuga di casa per vedere com'è il mondo fuori (Charlie Brown), l'innamoramento (Us against the world), i primi problemi (U.F.O.), l'addio (Princess of China) ed il finale agrodolce (Don't let it break your heart e Up with the birds).
La band, dai fan di vecchia data, è stata subito accusata per aver abbandonato nel tempo il loro stile intimo e semplice dei primi due album dedicandosi a sonorità più "mainstream" e pop. Io, che mi trovo qui a recensire l'album da un punto di vista obiettivo, nonostante siano una delle mie band preferite, posso concordare con questa idea ma allo stesso tempo affermare che pochi come i Coldplay hanno avuto il coraggio di cambiare nel corso degli anni e che, nonostante i vecchi album siano opere d'arte, Mylo Xyloto non è così brutto e commerciale come la maggior parte dei fan sostiene. Bisogna togliere dalla testa tutti pregiudizi e poter affermare che i Coldplay si sono evoluti da migliore band rock-pop a migliore band pop.

L'album
Esteticamente riprende il mondo di colori di Viva la vida portandolo all'estremo grazie all'utilizzo di bombolette spray. L'immagine che ne fuoriesce è un grigio legato alla freddezza della realtà dal quale tenta di fuggire quel poco di fantasia che rimane. Ogni canzone ha un suo simbolo che sembra faccia parte di un codice segreto mentre il cd è una spirale di colori caldi che ti avvolge mentre lo senti suonare. Le canzoni hanno in comune la particolarità. Forse non tutti si sono accorti che la maggior parte dei brani ha una metrica completamente differente dalle solite canzoni pop formate da strofa-ritornello-strofa-ritornello-finale. In Mylo Xyloto molte volte non esistono veri e propri ritornelli, altre il suono è un crescendo fino all'ultima parte della canzone.
Hurts like heaven come prima (vera) traccia ti fa comprendere quanto i Coldplay abbiano avuto il desiderio di cambiare: la voce elettronica di Chris Martin è uno shock per tutti ma dopo i primi spaventi viene voglia di saltellare ad ogni ascolto.
Paradise, il secondo singolo, ha anche lui bisogno di più ascolti. All'inizio sembrava una canzone senza mordente, poi ti ritrovi a canticchiarla ovunque senza capire il perché. E' questo il segreto dei Coldplay, riuscire ad entrare nello spirito delle persone anche controvoglia. Qui l'uso di strumenti come l'organo, i violini ed il piano mischiati con l'elettronica sono stati un azzardo, ben riuscito.
Charlie Brown è la canzone che mi ha colpito sin dal primo ascolto. La migliore dell'album secondo il mio parere. Voci alla Alvin Superstar che tentano di far uscire il bambino dentro le persone, suono avvolgente, voce di Chris Martin sfruttata per note da lui mai utilizzate in passato ed un crescendo che si spegne melanconicamente con l'assolo di pianoforte.
Us against the world è la prima vera ballad, chiarra e voce, dove Martin tira fuori tutto il suo arsenale di cantante e songwriter. Molto bella ma che poteva diventare perfetta con un altro giro di quel fine traccia-potenziale ritornello. Si poteva fare di più.
Every teardrop is a waterfall, primo singolo ufficiale, è il manifesto della band: la perfetta canzone gioiosa ma allo stesso tempo malinconica in stile Coldplay. Dovunque voi siate, sarà difficile far finta di nulla o tentare di toglierla dalla radio, è un motore per il cuore.
Major minus è la traccia che mi ha colpito di meno. Qui hanno tentato di sperimentare troppo, mischiando il nuovo corso con lo stile di Politik, facendo fuoriuscire un qualcosa di insipido.
U.F.O.. Seconda ballata, anche questa potenzialmente ottima ma che poteva essere sfruttata di più anziché essere ridotta a due minuti di belle parole, tenerezza e ululati.
Princess of China, il duetto con Rihanna è probabilmente il pezzo dove critica e fan si stanno sbranando da tempo. Io penso che sia uno dei brani più riusciti. Se i Coldplay volevano mostrare a tutti la loro innovazione, questa ne è la prova. Sono riusciti a donare alla voce di Rihanna sonorità particolari mai sentite nelle sue canzoni o in altri duetti. I loro "lalala" in sincro sono una delizia per le orecchie. Ero scettico anch'io ma mi sono dovuto ricredere. Anche l'utilizzo massicco dell'elettronica, nonostante non sia "da Coldplay" ha funzionato però è presente un uso eccessivo di ululati ed un ritornello in più non avrebbe guastato.
Up in flames. La migliore delle ballate presenti nell'album. Infonde quella tristezza che solo la band londinese sa fare. Piano, voce, batteria e, probabilmente, qualche lacrima.
Don't let it break your heart tenta di scuotere l'ascoltatore dopo Up in flames e con l'utilizzo della giusta carica lo obbliga a ballare e scatenarsi. Brano in perfetto stile Mylo Xyloto, riprende quello già detto per le altre tracce. Molto caos che fa bene allo spirito.
Up with the birds. Pezzo conclusivo, che infonde speranza in un finale agrodolce. I Coldplay hanno voluto dare nella prima parte del brano un tocco di maestosità per poi tornare con il loro stile nella seconda parte e salutare con i loro messaggi di buona fortuna. Una piccola perla.
Secondo me l'album è un buonissimo progetto, che è parte dell'evoluzione naturale della band. Non sarà un Viva la vida ma, probabilmente, non vuole assolutamente esserlo. Le note stonate del prodotto sono i troppi cori ed ululati, un poco di ripetività e la messa in secondo piano di chitarra elettrica e basso. Dispiace per la mancanza della bside Moving to Mars che poteva sostituire intermezzi incolori come M.M.I.X. e A hopeful transmission.
Mylo Xyloto è una bestia da palco. Ogni loro canzone presente nel cd/vinile che sia è amplificata nei loro concerti. Se qualche traccia farà storcere il naso al primo ascolto per radio, diventerà la preferita dopo averla vissuta live in uno dei loro show.

Moving To Madrid
Per caso mi sono ritrovato a Madrid gli stessi giorni del loro concerto in diretta mondiale su Youtube ed ho potuto ammirare di nuovo la band alle prese con il nuovo progetto dopo l'Heineken Jamin Festival. Il posto, l'Arena dei tori, è stupendo per i concerti, ha un acustica e una visuale ottima in ogni lato e viene sfruttato al massimo con posti a sedere anche dietro il palco. Dopo dieci minuti di un video-documentario particolare ma abbastanza soporifero, i Coldplay si sono comportati divinamente come ad ogni loro spettacolo. Sempre in movimento, parole commosse in inglese e spagnolo, tracklist all'altezza dell'evento con nuovi brani mescolati insieme alle vecchie hit e sorprese come Politik, Till kingdom come e Life is for living nella versione lunga da concerto (ancora mi chiedo perché non l'abbiano utilizzata sin da subito così!). Il palco, pieno di luci e colori, entrava sino nel cuore dell'arena trasformandosi in un'enorme X dove Chris & co. cantavano, saltellavano e lanciavano strumenti musicali per aria(!). Anche le canzoni più toccanti sono state suonate lì (vedi Up in flames), con l'immancabile pianoforte. Sono tornate le farfalle, durante In my place, questa volta mischiate alle lettere X e M, ed i fuochi d'artificio, a inizio concerto e nello spettacolare finale con Every teardrop is a waterfall. Non sono mancate Viva la vida, Yellow, Clocks, Fix you e la mia preferita, The scientist. Unica pecca, la brevità del concerto. Ricordo di un Udine 2009 dove hanno suonato per due ore e più mentre ultimamente riescono a superare a malapena l'ora e mezza. Si può fare di più, soprattutto per i fan! Nel complesso è stata un'esperienza unica, la stessa folla spagnola è migliore, ahimé, di quella italiana nel godersi lo show. Una bolgia che cantava all'unisono, tutti che ballavano e gioivano insieme e la "panolada" finale per il bis.
Una meraviglia.

Scaletta:
Back to the future theme (intro)
01. Mylo Xyloto
02. Hurts like heaven
03. Yellow
04. In my place
05. Major minus
06. Lost!
07. The scientist
08. Violet hill
09. God put a smile upon your face
11. Up in flames
12. Till kingdom come
13. Politik
14. Viva la vida
15. Charlie Brown
16. Life is for living
17. Clocks
18. Fix you (con l'omaggio a Amy Winehouse, Rehab)
Lares