sabato 31 marzo 2012

Speciale Ayreon, parte 2: i capolavori The Human Equation e 01011001


Ben ritrovati, cari lettori. In questa seconda parte proseguiamo con l’itinerario musicale che ci conduce alla scoperta dei lavori discografici del progetto Ayreon. Dopo il carismatico debutto, The Final Experiment, e l’onirico Into The Electric Castle, giungiamo alle ultime quattro opere, quelle che più marcatamente vanno a definire i contorni di una trama fantascientifica sempre più avvincente. Basta con i preamboli e veniamo alla musica. 

The Universal Migrator Part I: The Dream Sequencer (2000) 

Siamo di nuovo nel futuro, qualche anno dopo la guerra nucleare globale del 2084. Il progetto Time Telepathy, che avrebbe dato all’umanità una speranza di salvezza dall’autodistruzione, è miseramente fallito. La Terra è ormai devastata da un oceano di fuoco radioattivo che non ha lasciato scampo alla vita presente sul pianeta. Solo un uomo ancora respira, sulla colonia di Marte. Le scorte alimentari inviate dalla terra sono terminate e tutto ciò che gli resta da fare è morire. Mentre attende la fine, l’uomo si connette ad un sofisticato simulatore denominato Dream Sequencer, ideato per rendere meno opprimente la permanenza dei coloni sul pianeta rosso. La macchina trasporta la mente del protagonista progressivamente indietro nel tempo, in un viaggio a metà strada tra realtà e immaginazione, facendo riaffiorare ricordi della sua infanzia, della guerra finale e poi ancora più in là. I successi e i fallimenti dell’umanità gli scorrono dinanzi sempre più rapidamente fino a raggiungere il caos primordiale e a scoprire la primigena fonte di vita: un’entità denominata Universal Migrator. Insomma, finalmente si entra nel vivo. Musicalmente, l’album è assai variegato e difficile da classificare. Sicuramente può dirsi molto vicino al prog rock. Non vi sono quasi mai accelerazioni figlie di branche più dure del rock. Le atmosfere sono abbastanza soffuse, dense di synth e di suoni “cibernetici” che rendono bene la sequenza di immagini e di storie passate che il protagonista rivive. Sebbene questo disco non venga spesso considerato all’altezza dei capitoli seguenti, alcuni brani sono davvero grandiosi, come i due che vi propongo qui sotto. Un grande album. 

 

The Universal Migrator Part II: Flight Of The Migrator (2000) 

Avevamo lasciato l’ultimo uomo su Marte nel Dream Sequencer. Egli, ormai prossimo alla fine, decide di spingere il simulatore onirico ancora di più. Il suo viaggio lo conduce al Big Bang. Il caos lascia il posto a una moltitudine di pianeti e stelle. L’universo per come lo conosciamo è nato. In questo istante, fa la sua comparsa anche una forma di vita priva di corpo. Un essere di pura anima, scaturito apparentemente dal nulla cosmico, che comincia a vagare per il neonato universo. Il nostro decide di seguirlo attraverso le galassie, tra buchi neri e wormhole, fino a comprendere la verità. L’entità, identificata come Universal Migrator, altro non è che la forma di vita basilare dalla quale tutte le altre discendono. Il Migrator è un corriere di vita intergalattico che, scindendosi di quando in quando, porterà vita ovunque. Il Migrator giunge infine sulla Terra dando origine alle forme di vita preistoriche. Mentre assiste a questo, l’ultimo colone di Marte muore di stenti all’interno del Dream Sequencer. La sua anima lascia il suo corpo ed egli diviene consapevole di essere il nuovo Migrator. Egli creerà nuovamente la vita, come fece il suo predecessore. Il Migrator originale non ha creato, però, l’uomo sulla Terra. Le origini dell’umanità sono decisamente diverse… Nelle intenzioni di Lucassen, questo album doveva essere dedicato ai fan dalle preferenze più “metalliche”. Questo capitolo di The Universal Migrator è, in effetti, un disco di metal progressivo carico di riff potenti e di hammond distorti. Voci poderose quali quelle di Russell Allen (Symphony X), Fabio Lione (Rhapsody Of Fire, Vision Divine), Ralf Scheepers (ex-Gamma Ray, Primal Fear) e Bruce Dickinson (Iron Maiden) si oppongono con violenza alle atmosfere riflessive del disco precedente mentre le solenni tastiere ci riportano alla mente The Final Experiment. Benchè però le atmosfere da sci-fi epica siano ben ricreate, ritengo personalmente questo album inferiore alla Parte I e, più in generale, agli altri lavori di Arjen. La composizione mi pare meno ispirata, non vi è sempre una perfetta fusione tra musica e voce e alcuni passaggi paiono un tantino “forzati”. Sia ben chiaro che, tuttavia, stiamo parlando di un disco di una bellezza tutt’altro che indifferente. 

 

Prima di proseguire, avviso i lettori che i seguenti album sono dei capolavori assoluti e delle pietre miliari della storia della musica. L’ascolto di tali opere musicali potrebbe seriamente cambiare la vostra vita… Non è uno scherzo. 

The Human Equation (2004) 

Immaginate una strada isolata. Una giornata dal clima mite e un cielo senza nuvole. Immaginate ora che, su questa strada, un uomo (vocalmente interpretato da un James Labrie grandioso) stia guidando da solo. Nessuno oltre a lui si trova nei paraggi quando, senza apparente ragione, perde il controllo della macchina. L’impatto che segue lo spedisce in un coma profondo. Ricoverato in ospedale, due persone lo vegliano, gli parlano e pregano che si riprenda: la moglie (Marcela Bovio) e il suo migliore amico (Arjen Lucassen). Da come parlano tra loro, però, pare che i due abbiano qualcosa da nascondere… Nel frattempo, il protagonista si risveglia all’interno di quella che scopre essere la sua stessa mente. In questo luogo egli si ritrova a confrontarsi con le personificazioni delle sue emozioni più profonde: amore, passione, ira, paura, orgoglio, ragione e agonia. Esse lo porteranno a fare i conti con un passato fatto di negligenze genitoriali, solitudine, tristezza, bullismo: tutti fattori che hanno contribuito, molto più di quanto egli voglia ammettere, a renderlo l’uomo che è ora. I drammi personali del trittico di protagonisti vengono lentamente alla luce, rivelando tradimenti, rancori, ipocrisie e vanità… Questa, signori, è Musica. Questo è Ayreon al massimo dello splendore. Raramente mi è capitato di immedesimarmi così tanto in un personaggio. Questo disco è una girandola non solo di emozioni, ma anche di sfumature delle stesse. L’atmosfera può cambiare in pochi secondi…così come l’umore degli esseri umani. Mai così efficacemente, credo, la natura umana è stata messa su pentagramma. Le grandiose voci che interpretano le diverse emozioni conducono, per venti giorni, i tre protagonisti dapprima all’autoanalisi, quindi alla consapevolezza e, infine, alla comprensione e al perdono reciproco. Un disco da scoprire e da assaporare, dalla prima all’ultima nota, fino alla sconvolgente rivelazione finale: tutta l’esperienza è stata generata dal Human Equation Program, una simulazione del Dream Sequencer. All’interno della macchina, però, non c’è un essere umano ma una forma di vita aliena che, con una voce filtrata dalle macchine, mormora: «Emotions… I remember…». Suona familiare? Se avete ascoltato Into The Electric Castle, direi che dovrebbe… Estrarre due soli pezzi da allegare è stato arduo davvero. Questo è il classico album che deve essere ascoltato dall’inizio alla fine, tutto d’un fiato. E, credetemi, ne vale davvero la pena. 

 

01011001 (2008) 

Eccoci alla resa dei conti. Ayreon ci ha raccontato la storia e i drammi dell’umanità e di singoli individui. Di quando in quando, però, una strana forma di vita extraterreste faceva capolino. Il burattinaio di Into the Electric Castle, la voce nel Dream Sequencer in The Human Equation… È tempo di ordinare i tasselli e di narrare la storia dei Forever. Durante il viaggio al seguito del Migrator, si assistette ad una scissione dello stesso. Una parte diede vita alla Terra. L’altra, giunse a destinazione molto prima e diede origine ad una razza di umanoidi su di un pianeta in seguito denominato solo come Y (che, in codice binario, è appunto 01011001). Questa razza giunse ad uno stadio di evoluzione tecnologica impressionante e, ben presto, ossessionata dalla morte, tentò di rendersi immune alla vecchiaia e alle malattie. L’obiettivo venne raggiunto grazie a sistemi artificiali di mantenimento vitale: erano divenuti eterni (Forever). Millenni di vita artificiale hanno però effetti collaterali. I Forever si scoprirono, col passare dei secoli, sempre più indifferenti al tempo, a loro stessi e ai loro simili: avevano perduto la capacità di provare emozioni. Tutte eccetto la nostalgia del passato. I Forever non possono tornare indietro. Possono però ricreare la loro razza altrove e monitorarla, per poter registrare le emozioni e provarle nuovamente. Per fare questo, pongono il seme della loro specie all’interno di un asteroide artificiale che viaggerà attraverso le stelle in cerca di un pianeta adatto allo scopo. Dopo secoli di viaggio intergalattico, l’asteroide, guidato a distanza dai Forever, piomba sulla Terra eliminando i dinosauri (un pericolo troppo grande per i fragili umani) e dando il via a un ciclo di eventi che porterà alla nascità dell’Uomo. I Forever ammirano la loro creazione con freddezza, incamerando il maggior numero possibile di dati. L’evoluzione dell’Uomo procede però a rilento: le sue credenze religiose rallentano il progresso e il suo debole organismo lo rende facile preda di malattie. La creatura dei Forever rischia di estinguersi prima che il programma di ricerca sia completato. Gli alieni decidono perciò di effettuare un upload delle loro nozioni scientifiche per accelerare l’evoluzione del genere umano. Il boom tecnologico colpisce le menti umane con troppo durezza. Il risultato ultimo dell’upload è stato la nascita di nuove armi con le quali, nel 2084, gli umani daranno il via alla guerra definitiva. Presentendo l’estinzione dell’Uomo, i Forever tentano il salvataggio trasmettendo agli uomini l’idea del progetto Time Telepathy. Questo, tuttavia, come già sappiamo, non basterà a salvare l’umanità. Mentre il silenzio regna sulla Terra, ormai un pianeta disabitato, martoriato e morente, i Forever capiscono di non essere davvero vivi, di essere solo dei cadaveri che respirano, dei gusci senz’anima. Vinta la paura della morte, le macchine di mantenimento vitale vengono spente, la vita termina e il ciclo ricomincia con un nuovo Migrator… 


La saga giunge al termine nel mgliore dei modi, musicalmente parlando. Bissare la qualità di The Human Equation era compito tutt’altro che facile. Arjen, tuttavia, riesce magistralmente nell’intento mantenendo intatto il suo stile ma variando sensibilmente il tono dei brani. Le sonorità adottate, i filtri vocali…tutto contribuisce a dare all’album un taglio “artificiale”, robotico. La necessità era quella di trasmettere un’assoluta freddezza che risultasse anche, paradossalmente, poco distaccata. I Forever non provano emozioni se non, come detto, la nostalgia e il rimpianto. Questi due stati d’animo, assai correlati tra loro, risultano più che percepibili. Tutti i pezzi ne sono impregnati. Spettacolari, poi, le tracce riguardanti la fondazione dell’umanità. I punti di vista e le differenze d’opinione dei diversi Forever (volutamente anonimi anche se fortemente riconoscibili dalle fantastiche voci degli interpreti) vengono resi alla perfezione. Canzoni come Ride The Comet o The Fifth Extinction non si sentono tutti i giorni. Le atmosfere si mantengono sempre piuttosto tetre, con qualche eccezione, per trasmettere l’insorabile caduta dalla grazia del genere umano. La chiusura, affidata alla spaventosa The Sixth Extinction, ha davvero dell’apocalittico con un finale da brividi, a rappresentare la presa di coscienza dei Forever, culminante in un susseguirsi di interpretazioni vocali da urlo (tra i singer coinvolti cito Hansi Kursh, Bob Catley, Floor Jansen, Anneke Van Giersbergen e un Jorn Lande decisamente sugli scudi). Interessante la scelta di disseminare per la tracklist canzoni riguardanti anche esperienze umane: quotidianità deludente, fasulli amori nati su internet… Quasi a mostrare che, in fondo, tra umani e Forever, ormai, non c’è poi questa gran differenza... Altro capolavoro, quindi, che chiude la saga sci-fi targata Ayreon. Stabilire quale sia il migliore, tra 01011001 e The Human Equation, credo sia solo questione di gusti. Tecnicamente eccelsi entrambi anche se in maniera estremamente differente. 

 

Chiudiamo quindi questo dossier sul progetto Ayreon. Spero che leggere l’articolo vi abbia incuriosito e che vogliate andare oltre, ascoltando questa musica meravigliosa. Certo, non è proprio musica per tutti. Si tratta pur sempre di progressive abbastanza “spinto”. Sono certo che, però, molti di voi potranno, magari dopo ripetuti ascolti, carpire tutte le sfumature racchiuse in questi magnifici dischi. Al momento il progetto Ayreon è in stasi poichè, terminata la saga, Lucassen pare intenzionato a occuparsi di altro. In attesa di scoprire cosa Ayreon ci riserverà in futuro, prima di chiudere non posso fare a meno di consigliarvi di ascoltare anche i due album del progetto Star One, sempre firmato Lucassen. Se avete amato Ayreon, potrebbe regalarvi più di qualche soddisfazione. Grazie e alla prossima!

Spectraeon_86

martedì 27 marzo 2012

Recensione di Mass Effect 3, degna conclusione di una grande trilogia

Come succede alle trilogie cinematografiche, anche quelle videoludiche si chiudono. Mass Effect 3 è il capitolo conclusivo della trilogia avviata da Bioware nel 2007 con Mass Effect, inizialmente disponibile solo per Xbox 360 e portato nel 2008 su PC, mentre il secondo e il terzo episodio sono sbarcati anche sulla console di casa Sony. 


Storia e personaggi 

Il gioco inizia con la convocazione del comandante Shepard di fronte al Consiglio di difesa, accortosi finalmente dalla effettiva esistenza dei Razziatori, una terribile razza di macchine senzienti provenienti dallo spazio ignoto che ha come obiettivo la distruzione dell'umanità. Di li a poco infatti questi ultimi tenteranno l'invasione del pianeta Terra, dando il via a terribili quanto epici scenari di guerra e distruzione. L'improvviso attacco costringe il nostro eroe a fuggire in cerca di aiuto presso le altre civiltà della galassia. Sulla strada di Shepard appariranno vecchi e nuovi amici e nemici, tra cui Cerberus, l'organizzazione segreta per la supremazia umana che gli si rivolta contro dopo gli eventi di Mass Effect 2. La narrazione del gioco è studiata per fare di Mass Effect 3 un’esperienza memorabile, ogni avvenimento farà si che il giocatore debba mantenere un altissimo tasso di concentrazione, il merito di questo grazie soprattutto al character design accompagnato da una regia da Oscar. Il coinvolgimento è ad alti livelli sopratutto perché è proprio il giocatore a determinare l'andamento delle relazioni e le sorti di interi popoli, grazie a scelte in grado di lasciare il segno. 

Gameplay 

Mass Effect 3 come già detto è un gioco che si basa sulle scelte: fin dall'inizio del gioco dovremo decidere se far prevalere la sua componente shooter o se puntare sull'aspetto RPG. Chi ha già giocato a Mass Effect può scegliere di importare il proprio Shepard o di crearne uno da zero, con l'aiuto di un tutorial molto completo. Finita la fase iniziale scopriremo che la componente shooter rimane comunque il fulcro del gioco, nonostante le scelte precedentemente citate. Il nemico non si farà pregare e farà di tutto per eliminare il protagonista, cercando di farlo uscire dalle posizioni di copertura mediante l'ausilio di granate, poteri speciali e molto altro. Dalla nostra, oltre a un notevole numero di armi da fuoco, avremo anche i poteri biotici, che comprendono tecniche come la disgregazione, la scarica di adrenalina e la singolarità; è importante collaborare con i compagni di squadra, combinando i poteri e dando cosi il via a combo biotiche. 
Per difendersi dagli attacchi troviamo un ottimo sistema di coperture, migliorato moltissimo rispetto al passato, combinato con un nuovo tipo di attacco che ci permette di prendere il nostro avversario da dietro la copertura. Presente naturalmente la facoltà di migliorare le nostre capacità e il nostro armamento mediante gli oggetti trovati, i punti esperienza e i crediti racimolati durante l'avventura. Un difetto di Mass Effect 3 è l'esiguità della componente esplorativa, limitata (come peraltro nel titolo precedente) alla scansione dei pianeti o alla risoluzione di quest lineari: il nostro eroe non può girare liberamente per il pianeta ma solo seguire il percorso prestabilito al fine di completare la missione di turno; inoltre, a differenza di Mass Effect 2, i pianeti su cui è possibile atterrare sono solo quelli in cui troviamo una missione secondaria avviata, per il resto ci si limiterà al solito mini-game del radar. 

Grafica e sonoro 

Nel comparto grafico andremo a trovare poche migliorie rispetto a Mass Effect 2, soprattutto per quanto riguarda i modelli poligonali, già di ottimo livello, oltre all'ambiente circostante sempre molto particolareggiato. 
Le espressioni facciali, necessarie per fornire un adeguato coinvolgimento emotivo, risultano ancora una volta eccezionali, peccato soltanto per la  visibile differenza di qualità tra protagonista e personaggi secondari. Prestazione non ottimale invece per quel che riguarda le animazioni, a tratti lente e "scattose", ottimo invece l'uso delle luci e la presenza di effetti speciali da capogiro. L'accompagnamento sonoro sostiene completamente l'emotività di ogni situazione, coinvolgendo a dovere il giocatore. Fa il suo ruolo anche un doppiaggio italiano di buonissimo livello, anche se può sembrare a tratti un po' freddo e non in grado di rendere con precisione l'emotività della situazione. 

Commento finale 

La trama del gioco ha subito forti critiche: nei giorni successivi all'uscita del gioco si è manifestata una forte insofferenza da parte dei giocatori riguardo alla parte finale del gioco, in particolare per la percepita non varietà dei finali. Questo particolare non ha soddisfatto l'utenza anche per il ruolo marginale del comandante Shepard: dopo che il nostro eroe ha effettuato la scelta tra le ultime azioni disponibili, l'avventura di Shepard termina in sostanza ad azione compiuta, lasciando così ampi interrogativi sulla sua fine, su quella dei suoi alleati e sulle conseguenze che la scelta ha sulla galassia. A parer mio la trama e il character design fanno di Mass Effect 3 una delle più profonde ed emozionanti avventure di questa generazione, visto che ogni scelta, ogni panorama, ogni dettaglio contribuisce a creare un'atmosfera magnifica; in sostanza quindi ci troviamo di fronte alla conclusione di una trilogia forse non perfetta ma comunque indimenticabile. 


Kal-El

sabato 24 marzo 2012

Morsi di MMORPG #3: Blacklight: Retribution

Torna la rubrica Morsi di MMORPG, che dopo i reportage di DawntideChampions Online questa volta si occupa di un promettente MMOFPS (Massive Multiplayer Online First-Person Shooter) futuristico e gratuito attualmente in open beta, ovvero Blacklight: Retribution.


Il gioco

Blacklight: Retribution è stato sviluppato nel 2011 dalla software house statunitense Zombie Studios con finanziamenti e pubblicazione da parte di Perfect World Entertainment, branca nordamericana del colosso cinese Perfect World Co., la cui ampia offerta di MMORPG, perlopiù basati sul modello free-to-play, include il suo primo titolo Perfect World, il già citato Champions Online, Star Trek Online e il futuro Neverwinter. Retribution, inizialmente presentato come Blacklight 2, è il seguito del mediocre Blacklight: Tango Down, gioco dello stesso tipo uscito nel 2010 per Xbox360, Windows e in seguito Playstation 3; questo nuovo episodio è invece, per ora, un'esclusiva PC. Lo scorso 27 febbraio è stato dato il via al periodo di open beta, cioè di prova accessibile a chiunque, di Retribution, che si concluderà martedì 3 aprile con il debutto della versione completa. Quella che vi propongo è una recensione di questa open beta, giunta alla versione 0.952 e probabilmente abbastanza vicina a quella che sarà la 1.0.

Gameplay

Come ogni sparatutto online che si rispetti, Blacklight: Retribution propone le classiche modalità di gioco del genere, ovvero Deathmatch (DM), tutti contro tutti; Team Deathmatch (TDM), due squadre che si macellano a vicenda; Capture the Flag (CTF), alias ruba bandiera; Domination (DOM), in cui vince la squadra che mantiene il controllo di tre stazioni più a lungo; Team King of the Hill (TKOTH), dove le due fazioni si danno battaglia per la supremazia in una zona della mappa. Le partite possono ospitare 8 o 16 giocatori, e l'opzione Quick Join permette di entrare in un match popolato nell'arco di pochi secondi. Le mappe attualmente disponibili sono sei (Deadlock, Piledriver, Vortex, Vertigo, Containment e Heavy Metal), tutte piuttosto grandi, complesse e ricche di punti caldi, scorciatoie, interfacce per aprire cancelli, ricaricarsi salute o munizioni, o cambiare armi. 
Chi accumula abbastanza punti con uccisioni o conquiste può comprarsi un Hardsuit, una goduriosa macchina di morte con cui dare l'assalto al team nemico; l'esoscheletro include armi potenti, una corazza spessa e jet posteriori con cui sorprendere gli avversari che si aspettano di affrontare un bestione lento. Questi mech possono cambiare le sorti di una partita, e vanno neutralizzati a suon di esplosivi e lanciafiamme. L'altro elemento interessante del gameplay di Blacklight: Retribution è il visore a scansione incluso in ogni elmetto: premendo V è possibile, per una vitale manciata di secondi, passare ai raggi X tutto l'ambiente circostante, identificando la posizione di amici, nemici e oggetti interattivi anche su lunghe distanze. Sarà subito chiaro a tutti il valore tattico di un simile gingillo, che consente di localizzare istantaneamente le zone di scontro, risparmiando tempo nel raggiungerle, e di non farsi sorprendere dai soldati avversari in avvicinamento o in agguato da qualche parte. Per il resto, le dotazioni belliche del gioco aderiscono ai canoni degli fps: coltelli, pistole, mitragliatori, fucili di precisione, shotgun, lanciafiamme, granate esplosive o stordenti, lanciarazzi... quando si viene uccisi, grazie a un'apposita killcam, si ha il piacere di vedere chi è stato e quale arma ha usato, informazioni utili per tentare poi di vendicarsi. Il netcode di Blacklight: Retribution è piuttosto valido e assicura una buona fluidità generale, anche se a volte le sventagliate di proiettili possono avere effetto sui bersagli con qualche istante di ritardo di troppo, non sempre dovuto alla lag di chi spara.

Grafica e sonoro

Blacklight: Retribution è stato realizzato con l'Unreal Engine 3, supporta le librerie DirectX 11 e le alte risoluzioni: il dettaglio grafico, infatti, è di ottimo livello, specie considerando che si tratta di un gioco free-to-play, e propone sia modelli di personaggi che ambienti molto dettagliati; anche gli effetti luminosi risaltano per particolare bellezza ed efficacia, e solo le esplosioni lasciano un po' a desiderare. Le mappe si diversificano tra loro a sufficienza, con basi militari, centri commerciali devastati, aree di guerriglia urbana, cantieri e impianti industriali; grattacieli e razzi spaziali si stagliano verso il cielo, e dalle posizioni più elevate si gode talvolta di bei panorami su città futuribili.

 

Le uccisioni possono essere spettacolari: chi viene colpito al petto da un'arma potente può venire scagliato indietro e immortalato vergognosamente mentre vola via, mentre il buon vecchio headshot spappola i crani in un tripudio di sangue, con conseguente accasciamento del corpo decapitato. Gli unici bug grafici che mi è capitato di incontrare riguardano la fisica dei cadaveri, che ogni tanto hanno dei guizzi di movimento autonomo, e la disposizione delle texture, alle quali nelle strade della mappa Deadlock capita di "sfarfallare" o di mancare proprio. Il comparto audio si difende bene, con brani d'accompagnamento che creano un minimo di tensione, ruggiti delle armi peculiari e distinguibili, e grida degli avatar («Reloading!» e simili) che aiutano il gruppo a coordinarsi nelle offensive.

Acquisti e personalizzazione

Sebbene non arrivi alle vette di personalizzazione estetica di All Points Bulletin, Blacklight: Retribution gli assomiglia nello stile dei menu e del negozio d'equipaggiamenti. Quest'ultimo, chiamato Customization, è l'hub delle modifiche del proprio mercenario, dalla selezione del titolo onorifico sbloccato con tante sudate partite alla scelta dei Nodes, ovvero potenziamenti e abilità particolari, fino all'ovvio shopping di armi, armature, gadget, medaglie, tinture e altri orpelli. Non manca nemmeno uno stemma personale, da creare e ritoccare con un apposito editor. Quel che non rende il personaggio più robusto, più veloce o più letale gli dona un tocco di stile, il cui massimo momento di sfoggio è l'eventuale podio dei vincitori di fine partita. 

 

La moneta con cui si pagano gli acquisti in Customization sono i GP (Gold Points?) guadagnati portando a termine una partita, diversi dai punti esperienza con cui il nostro Agente sale di livello e ottiene la possibilità di comprarsi equipaggiamenti più sofisticati; nella sezione Marketplace, invece, si spendono punti Zen, che bisogna acquistare dal sito di Perfect World con denaro reale, e si ottengono oggetti dalle caratteristiche superiori, da cui trarre un certo vantaggio negli scontri; il giocatore squattrinato o tirchione, comunque, può farsi valere anche contro avversari meglio dotati, ma è fuor di dubbio che chi è bravo e si paga la roba migliore non avrà difficoltà a primeggiare nelle partite.

Commento finale

Sono contento di aver giocato alla beta di Blacklight: Retribution, perché mi sono divertito parecchio e ho avuto modo di provare a fondo un titolo che mi pare molto promettente. La qualità generale di questo gioco è decisamente alta, e se gli sviluppatori continueranno ad aggiungere costantemente nuove mappe, nuove modalità di gioco e nuove feature per i giocatori, potremo trovarci di fronte a un prodotto capace di fare almeno un po' di concorrenza, sul fronte online, a mostri sacri come Team Fortress 2Modern Warfare 3 o Battlefield 3.

 

Lor

giovedì 22 marzo 2012

Recensione di FIFA Street per Playstation 3 e Xbox360


Della serie calcistica arcade FIFA Street, avviata nel 2005, non avevamo più notizie dal 2008, cioè da quando EA ne fece uscire un terzo episodio con un look grafico molto discutibile. In questi quattro anni di assenza la serie si è completamente rinnovata, soprattutto nelle dinamiche di gioco, anche grazie ai progressi della serie “maggiore”, il cui più recente capitolo è FIFA 12, che nel corso degli anni ha distrutto un mostro sacro come Pro Evolution Soccer, e ora FIFA Street è pronto a catturare gli ultimi sostenitori rimasti fedeli a casa Konami (parole del creative director Gary Paterson). Ma EA sarà riuscita nell'ennesima impresa?


Gameplay 

Il nuovo FIFA Street, che sarebbe il quarto della serie ma essendo privo di numerazione è da considerarsi una sorta di reboot, è uscito lo scorso 13 marzo negli USA e tre giorni dopo in Europa per le piattaforme Playstation 3 (su cui è stato provato da chi scrive) e Xbox360. Leviamo subito qualsiasi dubbio, anche se il titolo stesso non ne lascia alcuno: chi cerca o spera di trovare un gioco di calcetto (o futsal come va di moda chiamarlo ora) serio e realistico, lasci perdere. In FIFA Street a farla da padrone è la spettacolarità: tutto ruota intorno ai trick, alle finte, ai “numeri” che riuscirete a fare durante la partita. Certo, alla fine vince chi fa più goal, ma se non imparerete subito a fare tunnel e doppio passo, le vostre vittorie andranno scemando con il tempo. Il vostro scopo dunque è questo: vincere irridendo l’avversario e dando allo stesso tempo spettacolo, proprio come spesso accade nei campetti di cemento delle periferie. Per fare ciò, EA ha messo a vostra disposizione un infinità di trick e di mosse, la metà delle quali riprese da FIFA 12, ma altre completamente nuove o riviste! Per rendere possibile questi virtuosismi è stato implementato un sistema di controllo mai visto prima in un gioco di calcio: a volte per fare uno o più trick collegati dovrete fare delle vere e proprie combo di tasti, ritrovandovi a pensare di star giocando a un picchiaduro. 

Il fulcro dei comandi risiede nelle due levette: con quella di sinistra muoverete il vostro giocatore, mentre con la levetta destra lo farete “danzare” sul terreno di gioco. Il bello è che le finte o i trick sono talmente tanti che se muoverete la levetta destra in modo rapido il giocatore da voi selezionato farà una cosa mentre se la muoverete in modo lento ne farà un'altra ancora, e questo vale per tutte le direzioni. Premendo la levetta, invece, il vostro idolo salirà sul pallone dandovi la possibilità di fare altre finte che non potreste fare con la palla in movimento. A questo aggiungete pure la possibilità di iniziare a palleggiare premendo semplicemente il tasto R1, e mentre il giocatore controllato si diletta nel palleggio si può dare inizio ad altri trick, sempre muovendo la già citata levetta destra. Quindi, in conclusione, durante il match avrete la possibilità di dribblare il vostro avversario come meglio credete: tentando un tunnel, provando a scavalcarlo con un sombrero oppure aggirarlo facendo sbattere la palla sul muro disorientando così chi vi sta di fronte. Insomma, le possibilità sono infinite!


Peccato però che il contorno di gioco non sia poi all’altezza dell’emozione che voi riuscite a mettere in campo: l’IA degli avversari è infatti molto bassa, anche ai livelli più difficili, per non parlare poi della stupidità dei portieri che passano dal fare i miracoli a errori che non commetterebbe neanche un bambino. Ci sono poi dei problemi nell’andare a prendere la palla e controllarla quando questa finisce in un angolo del campo, oltre a tanti piccoli bug nella gestione della fisica dei contrasti. Il motore è lo stesso di FIFA 12, ma accelerando il ritmo di gioco e riducendo gli spazi, con conseguente aumento dei duelli tra i giocatori in campo, si nota qualche incoerenza di troppo.

Modalità di gioco 

FIFA Street permette di affrontare i vostri avversari in varie tipologie di sfida: dal semplice 5vs5 al 2vs2 con porte piccole, fino alla modalità chiamata “Re del tunnel”, in cui oltre ai goal i dribbling semplici valgono 1 punto, i tunnel 3 e le giocate aeree 2; i punti vengono messi da parte e assegnati solo in caso di goal, ma se segna prima la squadra avversaria vengono cancellati. Un'altra modalità divertente è “Ultimo rimasto” in cui la squadra che segna perde un giocatore e vince chi riesce a concludere prima la partita senza uomini in campo. La modalità principale però è “Tour mondiale”: qui il vostro alter ego girerà il mondo per sfidare varie squadre nelle modalità precedentemente citate. Il vostro scopo è quello di trionfare nelle varie fasi (regionale, nazionale, continentale e mondiale) completando di volta in volta i vari eventi contrassegnati sulla mappa. Ma sicuramente in questo particolare gioco di calcio è la modalità online a divertire all'ennesima potenza! Oltre all'immancabile “stagione online” e alle sfide 4vs4 o 5vs5 , è infatti la stessa modalità “Tour Mondiale” a fare un enorme passo avanti se vi connetterete alla rete: oltre all'acquisizione di tutta una serie di elementi inediti collegati alla compravendita di giocatori, alle sfide tematiche, ai tornei a esclusione diretta e alle classifiche condivise, giocando online diminuiscono i problemi legati all'IA imbarazzante, aumentando di non poco il divertimento complessivo. 

Grafica e sonoro 

Il motore grafico di FIFA Street è, come già detto, lo stesso di FIFA 12, ma il grande lavoro degli sviluppatori si nota soprattutto nella cura delle piccole cose. Le licenze sono meno sfruttate (non troverete tutte le squadre presenti nel capitolo dedicato al calcio “serio” ma solo quelle più importanti per ogni campionato), tuttavia i ragazzi di EA hanno dato libero sfogo alla loro creatività nel design delle fantastiche arene di gioco, aumentando il numero delle animazioni, migliorando sensibilmente i menu e dando al giocatore la possibilità di personalizzare a fondo i propri giocatori creati da zero: sono infatti veramente tante le cose che potrete sbloccare, dalle finte alle magliette passando per felpe, pantaloncini e persino calzini. Il comparto audio si mantiene su altissimi livelli: menzione speciale alla colonna sonora, davvero adatta all’atmosfera di gioco. 

Commento finale 

FIFA Street rappresenta un'ottima sintesi tra il realismo della saga "maggiore" e l’immediatezza del calcio tutto finte e trick di strada. Sicuramente è una solida base di partenza per un eventuale capitolo futuro. Peccato per qualche imperfezione di troppo nella fisica e nell’ IA, ma il gioco rimane caldamente consigliato a chi ama il calcio e a chi, in particolare, cerca un trastullo calcistico più immediato rispetto alle simulazioni più realistiche e complesse.

 

HBK

mercoledì 21 marzo 2012

Speciale Ayreon, parte 1: la musica fantascientifica di Arjen Lucassen

Dopo svariati mesi di pressanti impegni, finalmente, rompo il silenzio e riesco a tornare a scrivere qualcosa per Vasi Comunicanti. Questo è un articolo che desideravo scrivere da diversi mesi, in attesa delle nuove uscite musicali primaverili. Giusto qualche mese fa avevamo parlato di Alan Parsons Project e della loro ecletticità; vorrei ora portare la vostra attenzione a quello che mi piace scherzosamente definire “l’Alan Parsons Project del nuovo millennio”. Quanto è cambiata la musica dagli anni ’70 a oggi? Abbastanza da far sì che svariati musicisti potessero farsi strada nel mondo, generando sonorità come l’hard rock, l’heavy metal, la musica elettronica e chi più ne ha più ne metta. Ciascun, diciamo, “genere” musicale (soprattuto quelli “figli del rock”) pare, nella maggior parte dei casi, fin troppo concentrato su se stesso, deciso più che mai a portare avanti un discorso sonoro secondo stilemi ben precisi e omaggiando ripetutamente i grandi del passato con una devozione e con una costanza allarmanti. Naturalmente, la pena per il cambiamento stilistico è l’accusa di tradimento. Se è facile accusare di integralismo musicale i fan di oggi, è altrettanto facile, mettendoci nei loro panni, comprenderli, almeno parzialmente: dopotutto, ai sentimenti non si comanda. Vero è altresì il fatto che, su questa via, l’evoluzione sonora si asintotizzerebbe. E sarebbe davvero la fine. Esistono anche oggi, tuttavia, progetti musicali, per lo più nell’underground, estremamente interessanti e dal sound variegato. Per quanto mi riguarda, il portabandiera indiscusso di questo piccolo gruppo di irriducibili rivoluzionari, è Arjen Anthony Lucassen



L’artista e il progetto 

Olandese, sulla cinquantina, alto, biondo e lungocrinito. Così si presenta uno dei musicisti più poliedrici e affascinanti della scena rock moderna. Prog rock, prog metal, elettronica, folk: tutto questo confluisce in Lucassen che, dal canto suo, si dimostra sempre capace di miscelare il tutto nella maniera più efficace. Polistrumentista di grande fama, principalmente chitarrista e tastierista, ottimo produttore, cantante discreto, compositore eccezionale. Vanta trascorsi in svariate band, spesso da lui stesso create, e non meno di venti album pubblicati durante la sua carriera. Tra questi, spiccano senz’altro quelli pubblicati con il nome Ayreon. All’inizio, accostai il progetto agli Alan Parsons Project e questo si deve a tre fattori: la varietà stilistica, i concept album e agli ospiti illustri. Il progetto Ayreon ha all’attivo sette album, composti e suonati pressochè interamente da Arjen stesso, contenenti brani lunghi e articolati e, il più delle volte, legati tra loro da testi di matrice sci-fi/fantasy. Come per gli AAP, anche questi lavori possono vantare una vasta schiera di ospiti illustri dietro al microfono: Bruce Dickinson (Iron Maiden), James Labrie (Dream Theater), Russell Allen (Symphony X), Jorn Lande (ex-Masterplan, ex-Ark), Hansi Kursch (Blind Guardian). Solo per citarne alcuni tra i più noti…


I testi e la fantascienza 

Veniamo all’aspetto, a parer mio, più interessante del progetto: le liriche. Le definii sci-fi/fantasy. Se definire il fantasy è relativamente semplice (mi riferisco per lo più alla scuola tolkeniana, howardiana e moorcockiana), definire la fantascienza è più complicato. Non mi occupo di letteratura e non ho background scolastico per parlarne approfonditamente ma sono dell’idea che tutti, bene o male, abbiano una propria idea di ciò che è la fantascienza. Come sono certo del fatto che molti, dovendo rispondere a una domanda in merito, risponderebbero che la sci-fi è “il genere con le astronavi”. Certo, non sarebbero troppo lontani dalla verità anche se, una lunga schiera di racconti e scrittori, pubblicati decentemente in Italia qualche decennio fa (e ormai quasi introvabili per chi, come me, non disponga di un padre detentore di una nutrita collezione di vecchi Urania, nda), testimoniano che la sci-fi non è solo questo. Hi-tech, low-tech, alieni, scenari post-apocalittici o futuri grandiosi…personalmente, amo definire sci-fi, tutto ciò che avanza ipotesi, più o meno realistiche, sul futuro dell’umanità. Detto questo, non posso quindi non considerare la saga narrata negli album di Ayreon come sci-fi vecchio stampo all’ennesima potenza. 

Il concept 

Con l’eccezione di Actual Fantasy (1996), di cui non tratteremo, tutti gli studio-album targati Ayreon sono tra loro legati…anche quando non sembra. L’evento centrale del concept è un’ipotetica estinzione umana datata 2084. Un gruppo di scienziati e ricercatori, avanguardia del sapere di una razza umana sull’orlo del baratro, riesce infine a mettere a punto un sistema che definiscono "Time Telepathy". Attraverso questo dispositivo, inviano un messaggio nel passato per tentare di cambiare la storia e fermare il tracollo dell’umanità. Tale messaggio verrà intercettato dalla recettiva mente di un menestrello cieco, Ayreon, che vive in una Gran Bretagna medievale dominata da re Artù. Egli tenterà di portare il profetico messaggio a conoscenza della gente, con risultati prevedibili (dopotutto, siamo nei Secoli Bui). La profezia resterà inascoltata con tutto ciò che ne consegue. Questa la storia dietro ai testi del debut album The Final Experiment (1995). Interessante, direte voi, ma nulla di eccezionale. In realtà, questo è solo l’inizio. Il bello deve ancora venire… 

Gli album 

Eccoci dunque al nocciolo: la musica. Vediamo quindi i sei album lungo i quali si sviluppa la storia che Arjen ci racconta, i diversi capitoli che la compongono e, soprattutto le caratteristiche musicali che rendono questo progetto unico. 

The Final Experiment (1995) 

Il debutto, del cui concept abbiamo già parlato, è un disco di notevole caratura. Album dal forte flavour prog metal e da toni medievaleggianti alla maniera di certo prog rock seventies. Lo stile di Lucassen è già ben delineato anche se questo disco mi è sempre parso un po’ fuori dal coro, forse per il fatto che i cantanti ancora non hanno un ruolo preciso all’interno del concept (il personaggio di Ayreon è interpretato di volta in volta da diversi singer). Benchè gli ottoni sintetizzati, dal suono vagamente e piacevolmente vintage, la facciano spesso da padrone, non mancano brani dal taglio più moderno. Difficile estrapolare episodi particolari (regola valida anche per tutti gli album seguenti). Ciascun pezzo è un discorso a se stante. Premetto dunque che nessuno dei pezzi allegati di seguito può considerarsi completamente rappresentativo. 

 

Into The Electric Castle (1998) 

Otto personaggi (volutamente stereotipati, esagerati e, come disse qualcuno, molto influenzati dai B-movies fantascientifici), provenienti da diverse epoche e da diversi luoghi, si ritrovano in un luogo al di là dello spazio e del tempo, richiamati da chissà quale forza ultraterrena. Insieme, dovranno farsi largo fino a raggiungere il cuore di una labirintica struttura, l'Electric Castle, per poter fare ritorno a casa. Sulla loro strada, verranno messi a confronto con le loro paure, con le loro coscienze e con le rispettive ipocrisie, in una successione di mortali prove di forza e volontà fino alla rivelazione finale. Una creatura aliena, che si presenta solo come “Forever of the stars”, mantenuta in vita da macchine, li ha riuniti per poter analizzare le loro emozioni. Egli è infatti, da millenni, incapace di provarne: ne ha perso la capacità a seguito del processo di ibridazione che lo ha reso immortale. I pochi sopravvissuti potranno fare ritorno a casa, ma non ricorderanno nulla. Un concept interessante e apparentemente slegato al precedente (di questo ne riparleremo) caratterizza quello che considero il più classicamente progressive tra gli album di Ayreon. Su di una solida base di tastiere di matrice prog si innestano le chitarre, ora di settantiana memoria, ora decisamente più metal. Non mancano divagazioni strumentali tra tempi dispari mai fastidiosi o forzati, intermezzi atmosferici, assoli, effetti magistralmente integrati nel contesto e tastiere sempre presenti e fantasiose. Sul variopinto tappeto musicale tessuto dagli strumenti di Arjen si vanno a intrecciare le voci degli interpreti, tutti di grandissimo calibro, ciascuno stavolta immedesimato nel proprio ruolo dall’inizio alla fine. Non potrei davvero descrivere questo lavoro più di così. Una vera e propria esperienza sonora. Giudicate da voi dopo un ascolto approfondito. 

 

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sabato 17 marzo 2012

VaSongs #10

Apriamo questo decimo appuntamento con la rubrica musicale di VasiComunicanti con il dovuto tributo a Lucio Dalla, scomparso il 1° marzo e ricordato in queste settimane da tanti, spesso anche inopportunamente. Sfogliando la discografia di Lucio Dalla ho ritrovato una canzone del 2001 che mi ero totalmente dimenticato ma che ho amato molto. Il brano si intitola Kamikaze e sono contento di proporvelo nella speranza che gli appassionati di musica, se ancora non l’hanno fatto, comincino a scoprire uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi.

Passiamo alle novità musicali di questi ultimi mesi. Le prime tre canzoni che vi proporrò sono tutte “figlie” della serie televisiva Glee, nel senso che hanno raggiunto la meritata popolarità dopo l’esecuzione da parte del cast di questo musical televisivo. Cominciamo con Cough syrup, brano degli Young The Giant, band californiana nota in passato come The Jakes. Questo brano ha avuto un disperato bisogno di Glee per emergere, visto che risale all’anno scorso ma ha raggiunto la popolarità radiofonica (anche in Italia) solo nelle ultime settimane; una canzone che abbina l’intensità rock a quel tocco di malinconia che la rende stupenda.

Life’s too short to even care at all oh
I’m coming up now coming up now out of the blue […]
So I run to the things they said could restore me
restore life the way it should be
Waiting for this cough syrup to come down

Un vero e proprio inno alla giovinezza e al divertimento è quello che hanno scritto i Fun. con We are young, brano che punta tutto sulla melodia del ritornello, che cattura immediatamente. La marcia dettata dal rullante dà solennità al testo mentre la voce di Nate Ruess, con i suoi vocalizzi, è perfetta per questo tipo di canzone.

Vi ricordate di Kelly Clarkson? La vincitrice della prima edizione del talent show statunitense American Idol aveva raggiunto il successo mondiale nel 2005 con Since U been gone, Behind these hazel eyes e Because of you, per poi cadere nel dimenticatoio, in particolar modo in Italia. In realtà Kelly non è stata con le mani in mano ma ha continuato a fare musica e soprattutto a mangiare. Una Kelly Clarkson palesemente ingrassata si ripropone ora con What doesn’t kill you (stronger), un pezzo che ricorda l’energia dei vecchi successi e che potrebbe riportarla in auge.


Cambiamo genere e passiamo alla sorpresa più grande degli ultimi tempi: Gotye, all’anagrafe Wouter Wally De Backer, è un cantautore nato in Belgio ma naturalizzato australiano che sta conquistando tutto il mondo con Somebody that I used to know. Gotye è riuscito nell’impresa di scrivere una canzone che tocca le corde giuste dell’anima, o che sicuramente non lascia indifferenti. La contrapposizione di voci tra Gotye e la neozelandese Kimbra è da brividi, sopra un arrangiamento essenziale e, per questo, efficace. Nonostante queste sonorità particolari, il testo racconta una storia semplice, quella di un uomo deluso, disarmato, che si trova ad affrontare una persona che pensava di conoscere e di amare ma che si rivela tutt’altra cosa.

Now you’re just somebody that I used to know

Di tutt’altro taglio è Lego house, brano di Ed Sheeran, giovanissimo cantautore britannico, premiato come miglior artista maschile ai recenti Brit Awards. Ed Sheeran racconta la dedizione verso la sua dolce metà, per cui è disposto a tutto, anche a costruire una casa di mattoncini Lego. Niente di nuovo, sia chiaro; solo una ballata soffice e delicata che ha trovato la melodia giusta per spopolare. Per avere solo 21 anni, non male.

Ancora diverso è l’approccio all’amore di Lloyd, cantante R’n B americano, che in Dedication to my ex (miss that) se la prende con la sua ex, scomparsa con il suo “amore”. Esistono due versioni di questo brano: l’originale che dice “I miss that pussy” (spero non ci sia bisogno di traduzione) e una versione clean che sostituisce “pussy” con “lovin”. Il brano si avvale della collaborazione di Andre 3000, leader degli Outkast.

I PNAU sono un duo di musica dance australiano, formatosi nel 1999, che ha raggiunto il successo nel 2008 con il singolo Walking on a dream, sotto il nome di Empire of the Sun. Tornano ora con The truth, brano dance ben scritto, che racconta dell’ennesimo uomo ingannato dalla propria donna; pensava di conoscere la verità.

E’ tempo di secondi singoli per numerosi artisti internazionali: i Black Keys, dopo il successo di Lonely boy, ripropongono il loro rock d’altri tempi con Gold on the ceiling; Emeli Sandè sceglie Next to me per coltivare il seguito ottenuto con Heaven, a mio parere inferiore rispetto a questo nuovo singolo; un po’ country il racconto dei Train in Drive by, che anticipa il nuovo album California 37; il fenomeno Lana Del Rey continua anche con la title-track dell’album, Born to die, in cui la cantante continua a stupire per la sua capacità di rendere apprezzabili delle lagne assurde.
Torniamo in Italia per concludere questo appuntamento musicale. Cosa ci ha lasciato il Festival di Sanremo? Come sempre le note più positive arrivano dai Giovani, su tutti Marco Guazzone, quarto classificato. Guasto è la canzone migliore dell’intero Festival e propone realmente qualcosa di nuovo per la musica italiana. I terzi classificati, la band pugliese Iohosemprevoglia, hanno portato a Sanremo Incredibile, brano che non sta avendo l’attenzione che merita. Passando ai Big, la più scaricata e ascoltata è sicuramente La notte di Arisa, che ha stupito tutti per la sua nuova veste, più matura. A me non ha sorpreso un granché ma apprezzo il cambiamento. Infine Noemi si è riconfermata un’artista interessante con Sono solo parole; a questo proposito vi consiglio l’ascolto di quello che sarà il prossimo singolo, uno dei due nuovi brani della riedizione di RossoNoemi, In un giorno qualunque, a ragion veduta, una delle più belle canzoni di Noemi.
Concludo con il nuovo singolo di Ligabue (già annunciato mesi fa da VasiComunicanti), M’abituerò, brano scritto agli inizi della carriera del cantautore di Correggio ma proposto solo ora con Campovolo 2.011. Una visione ottimista della sofferenza dopo l’amore, con un pizzico di malinconia, che non manca mai.

M’abituerò a non trovarti
m’abituerò a voltarmi e non ci sarai
m’abituerò a non pensarti
quasi mai, quasi mai, quasi mai
D9P

mercoledì 14 marzo 2012

Tris di nuovi manga #2: Toriko, A Certain Magical Index, The World God Only Knows


Toriko
Autore: Mitsutoshi Shimabukuro
Editore italiano: Star Comics
Prezzo: 4,20 
Frase chiave: «Io non uccido prede... se non per mangiarle! Se non mangio non uccido, e se uccido mangio. È la mia regola.»

Nel pieno della cosiddetta "Era dei buongustai", in cui il business principale è quello della gastronomia, il giovane e timido cuoco d'albergo Komatsu viene incaricato dal suo capo Umen Umeda di assoldare un "fornitore di cibi di lusso" che procuri dell'eccellente quanto rara carne di gararadrillo. La pericolosità di questo animale richiede l'intervento del miglior fornitore sulla piazza, ovvero l'esperto, nerboruto e vorace Toriko, che accetta l'incarico. Komatsu e Toriko si avventurano così sull'isola di Babaria, in cui li attendono bestie feroci e in particolare un gararadrillo imbattuto da 300 anni... nella seconda missione raccontata nel volume, Toriko e il pavido Komatsu entrano in una riserva naturale dell'International Gourmet Organization per recuperare uno dei leggendari "Frutti arcobaleno", leccornia che si dice riveli sette differenti gusti quando viene mangiata. L'albero da frutto, però, è difeso da un'intera tribù di ferocissimi troll king...
Immaginate un moderno Ken il Guerriero la cui esistenza è votata alla ricerca del menù perfetto, aggiungeteci un bel po' di comicità e di sbruffoneria, condite con disegni cartooneschi sempre molto espressivi e otterrete Toriko. Questo nuovo manga mi ha colpito per il suo ritmo gagliardo, per l'innegabile carisma del protagonista (le gag sulle sue qualità e abilità esagerate hanno dell'infantile ma funzionano) e per la simpatia di molte scene e dettagli; le vignette in cui Toriko rivela il suo "vero volto" mi hanno davvero esilarato. L'unico difetto che ho osservato è una risoluzione troppo rapida degli scontri chiave, con Toriko che non viene mai messo davvero in difficoltà e che vince senza troppa fatica. Gli animali e i cibi fantasiosi, divorati da un protagonista dallo stomaco senza fondo, ricordano One Piece, con cui infatti Toriko ha recentemente avuto un crossover: il sommo Eiichiro Oda ha voluto aiutare Mitsutoshi, suo amico personale, a lanciare l'anime tratto dal suo manga, la cui prima puntata è stata trasmessa in Giappone nello scorso aprile.

A Certain Magical Index
Autore: Kazuma Kamachi (storia originale), Chuya Kogino (disegni), Kiyotaka Haimura (character design)
Editore italiano: Star Comics
Prezzo: 4,30 € (scontato a 1,90 € fino al 22 marzo)
Frase chiave: «La mia mano destra è un Imagine Breaker, un distruttore d'illusioni... è in grado di neutralizzare qualunque tipo di potere anomalo, che si tratti del supercannone elettromagnetico o di miracoli divini

Sebbene abiti e frequenti la scuola nella futuristica città-studio costruita fuori Tokyo, in cui si sviluppano "poteri superiori" negli studenti tramite farmaci e macchinari elettronici, Kamijo Toma è uno sfigato. Kamijo vive da solo in un alloggio disordinato, ha più nemici che amici e l'unica ragazza che lo degna d'attenzione vuole annichilirlo con i suoi poteri elettrici. L'unico potere del ragazzo, inoltre, è l'Imagine Breaker della sua mano destra, una sorta di contro-abilità con cui può neutralizzare i poteri degli altri. La blanda vita di Kamijo viene sconvolta dall'incontro con una piccola suora di nome Index, che gli racconta storie incredibili: la ragazzina farebbe parte della "Chiesa del Male Necessario", finalizzata a indagare sulla magia e a sconfiggere i maghi malvagi, e dentro il suo corpo sarebbero conservati 103.000 grimorii (libri magici), la cui potenza, usata dalle mani sbagliate, potrebbe sovvertire l'intero ordine mondiale. Nonostante l'iniziale diffidenza, Kamijo si troverà presto a difendere Index dal tenebroso piromante Stiyl Magnus, che ha ferito la ragazzina e vorrebbe rapirla per carpirne il prezioso sapere arcano. Ma come può farsi valere un adolescente buono solo ad annullare i poteri offensivi scatenati contro la sua mano destra, che peraltro pare distruggere anche le difese sacre di Index e la buona sorte dello stesso Kamijo?
A Certain Magical Index butta subito tanta carne al fuoco, tra superpoteri, magie, organizzazioni religiose e intrighi mondiali, peccando di frettolosità narrativa. Al cliché del ragazzo medio ma "dotato" che deve difendere una ragazza sovrannaturale (iniziò così anche Bleach, tanto per dirne uno) si aggiungono conclusioni degli scontri quantomeno sbrigative e dei riferimenti al cristianesimo e al Vaticano che, come in D.Gray-Man, a noi italiani non possono che apparire un po' ridicoli. Esempio: Index indossa una "chiesa in forma d'abito", fatta di un resistentissimo "tessuto che riproduce esattamente quello della Sindone di Torino". I disegni non sono particolarmente interessanti, gli sfondi sono spesso bianchi (il pensiero corre di nuovo a Bleach) e i due personaggi femminili principali, Index e l'improbabile baby-professoressa Komoe Tsukuyomi, sono una mezza loli e una loli in piena regola. Nel complesso, questo primo numero di ACMI mi ha dato una spiacevole impressione di faciloneria, senza riuscire in alcun modo a guadagnarsi il mio gradimento.

The World God Only Knows
Autore: Tamiki Wakaki
Editore italiano: Star Comics
Prezzo: 4.20 € (scontato a 1,90 € fino all'8 aprile)
Frase chiave: «Ebbene sì, mi piacciono solo le ragazze virtuali! La realtà è solo un gioco mal programmato!»

Il diciassettenne Keima Katsuragi, studente liceale di bell'aspetto, è un otaku (nerd) incallito: gioca alla PSP anche durante le lezioni, vive nell'alienazione di un suo mondo videoludico e prova interesse solo verso le ragazze dei gal games, i simulatori di storie romantiche. Keima pare destinato a diventare il classico hikikomori grasso e solitario che annuncia su internet di aver sposato una qualche bellezza virtuale, ma a turbare la sua monotona quotidianità arriva nientemeno che una demone infernale, incaricata di catturare i kaketama (anime cattive) fuggite dall'inferno. Keima ha accettato per orgoglio una sfida pervenutagli via e-mail che metteva in dubbio le sue abilità di "Dio della conquista" e si è ritrovato costretto, pena la decapitazione, ad aiutare la volenterosa Elsea De Lute Irma, detta Elsie, a stanare i kaketama dalle studentesse dell'istituto scolastico in cui hanno trovato rifugio: gli spiriti fuggitivi si nascondono infatti nelle "ferite dell'animo umano", e Keima dovrà sedurre le vittime di queste possessioni per farle innamorare, sanare i loro problemi interiori e scacciare il kaketama in questione, così che Elsie possa riacchiapparlo. Quello che Elsie non sapeva, però, è che il presunto latin lover è competente di corteggiamento solo nei videogiochi, e che dal vivo non ha mai avuto la benché minima esperienza amorosa... per il reticente Keima e la candida Elsie inizia così una serie di avventure romantiche con indagini, equivoci e sviluppi imprevisti, anche tra loro due. 
Per un nerd come me è impossibile non prendere in simpatia un personaggio come Keima, un freddo calcolatore alla Light Yagami di Death Note che però "investe" tutto il suo tempo in patetici videogiochi sentimentali. La sua volontaria alienazione dal mondo reale è rimarcata in continuazione con gag e frasi da ricovero psichiatrico, e anche per questo i suoi goffi approcci con le ragazze che gli viene chiesto di sedurre passano dal divertire al creare un minimo di pathos. Molte situazioni sono giapponesi fino al midollo e fanno parte di stereotipi abusatissimi (il "fattaccio del bagno" su tutti), ma quasi tutte sono rappresentate con molto umorismo e disegni stilizzati che ispirano tenerezza. Dal manga, che ha esordito in patria nel 2008, è stato tratto un anime di due stagioni da 12 puntate l'una, più due OAV e due light novel.

Lor

lunedì 12 marzo 2012

Pokémon, come scaricare e ottenere Reshiram in Bianco e Zekrom in Nero

Nell'ambito della distribuzione via internet di pokémon leggendari nelle cartucce Black e White, Bianco e Nero, operata da Nintendo e Game Freak negli ultimi mesi, dopo Arceus è ora arrivato il turno di Reshiram e Zekrom, i due leggendari yin e yang sfoggiati sulle copertine dei due giochi.


In Pokémon versione Bianca si può normalmente catturare il tenebroso Zekrom, mentre in quella Nera si addomestica l'eburneo Reshiram. Ora, grazie al download del leggendario mancante attivo dal 10 marzo fino al prossimo 8 aprile, è possibile completare il duo senza dover ricorrere alla Global Trade Station e alle irritanti offerte che vi si trovano ("Offro uno Zekrom al livello 70 in cambio di un Mewtwo sotto il livello 10", "Chiedo un Reshiram al livello 100 in cambio di un Patrat al 2", ecc). La procedura da seguire è piuttosto semplice: una volta impugnato il proprio DS, DSi o 3DS con la cartuccia di Bianco o Nero, e avendo a disposizione l'indispensabile connessione wi-fi a internet, bisogna avviare il gioco e scegliere, nel menù iniziale che comprende Continua e Nuovo gioco, la voce Dono segreto. Il gioco cercherà e troverà l'offerta di Reshiram o Zekrom, a seconda della cartuccia in uso; dopo averla scaricata via Nintendo WFC, si deve caricare la propria partita e recarsi in un qualunque Centro Pokémon, dove un enigmatico postino ci starà aspettando per consegnarci il potente leggendario come fosse un pacco qualunque. Ovviamente si deve avere uno slot libero nel party per poter ricevere il nuovo pokémon, e vale la pena di salvare prima di parlare con il postino così da poter riavviare velocemente il gioco in caso il leggendario abbia una natura inadatta o delle statistiche basse (per controllarle agevolmente è d'uopo salvare nel Centro di Sciroccopoli, così che andare a far esaminare il pokémon dal Giudice dei punti IV nella vicina stazione ferroviaria richieda il minor tempo possibile).

Il Reshiram o lo Zekrom ottenuto è anche la chiave per ottenere uno sfondo del C-Gear (l'interfaccia del gioco sul touch screen) a esso dedicato. Premendo su Online e su Sincrogioco si può caricare il leggendario appena ottenuto (bisogna averlo depositato in un box) e giocarci nel Dream World sul Global Link; nella schermata iniziale del Mondo dei sogni, quella con la propria casa, in alto a sinistra è presente un tasto che permette di accedere a un "mondo" speciale, dedicato alla promozione dei due lungometraggi in arrivo, pare, anche in Italia.
Nella casa di questo mondo si vedono la bambola di Victini e la password PGLVICTINI12 da inserire nella sezione Partecipa alle iniziative del Global Link per ottenerla e poterla piazzare nella propria casa del Dream World; scorrendo con le frecce verso sinistra o destra del mondo speciale comparirà un accesso all'Isola dei sogni che solo il Reshiram o lo Zekrom ottenuti via Dono segreto possono attraversare.
Qui ci si potrà cimentare con un minigioco in cui bisogna aiutare il leggendario Victini a mangiare dolcetti, sfondare rocce, raccogliere simboli di fiamme o saette e farsi aiutare da Reshiram o Zekrom ad arrivare al baule pieno di altri bocconcini. La ricompensa per il completamento del minigioco è lo sfondo speciale del C-Gear dedicato a Reshiram o Zekrom, che va poi sbloccato nella sezione Partecipa alle iniziative e attivato in Personalizzazione, sempre dalla pagina iniziale del Global Link.


C'è qualche piccola novità riguardante i venturi Black 2 e White 2: a giugno il Global Link andrà offline per qualche tempo allo scopo di aggiornarlo con contenuti inediti, e ancora ignoti, relativi alle due nuove cartucce; sempre a giugno, inoltre, in Giappone verrà avviata la distribuzione del leggendario Keldeo, protagonista dell'ennesimo film Pokémon, per Bianco, Nero, Black 2 e White 2. Poche ore fa, infine, sono state scansionate e pubblicate sulla rete alcune pagine dell'ultimo numero della rivista nipponica "CoroCoro Comics" in cui compaiono le prime box-art ufficiali di Black 2 e White 2.

Lor